Intervista a Carlo Tedeschi su Leo Testimonianze

Intervista a Carlo Tedeschi su Leo Testimonianze

Benvenuti a una conversazione che promette di svelare la straordinaria profondità di un’opera letteraria unica. Nel panorama editoriale, poche pubblicazioni riescono a catturare l’attenzione non solo per il loro contenuto, ma per la profonda risonanza umana che evocano. “LEO testimonianze”, curato da Carlo Tedeschi e promosso dalla Fondazione Leo Amici, è proprio questo: un viaggio emotivo e spirituale attraverso le vite di coloro che hanno incontrato una figura indimenticabile, Leo Amici. Abbiamo posto dieci domande a Carlo Tedeschi per esplorare le pagine di questo libro, con l’obiettivo di suscitare la vostra curiosità e farvi scoprire il mondo di amore e trasformazione che Leo Amici ha ispirato e continua a ispirare. Preparatevi a interrogarvi sul senso della vita, sul potere della fede e sull’impatto indelebile che una persona può lasciare.

Il libro raccoglie “migliaia di testimonianze” di persone che hanno “sperimentato il tocco di Dio” e la “gratitudine e l’amore” per Leo Amici. Puoi descrivere, in sintesi, chi era Leo Amici e quale fosse il tratto distintivo che univa queste esperienze così diverse?
Leo Amici era un uomo tra gli uomini che, per come lui stesso diceva sorridendo: “tutte le sere gioco a carte con Dio!”
Le esperienze di ognuno, tra coloro che lo avevano conosciuto, sono così diverse tra loro ma così collegate dal fatto che ogni uomo cerca amore e verità.
Siamo tutte creature che vivono la nostalgia dell’amore.

Molte testimonianze lo definiscono “maestro”, eppure lui stesso diceva “Potete chiamarmi anche ahò!”, negando la sua personalità per confondersi “nello spirito della comunità”. Qual era la vera “filosofia di vita” di Leo Amici, se non cercava né titoli né compensi materiali?
L’amore, l’amore per il prossimo, gratuito, grande, collegato con l’oltre.

Diverse persone raccontano di guarigioni incredibili, anche da malattie gravi come ulcere perforate, paralisi ostetrica, gastrite cronica, e casi di tumore, spesso con metodi semplici come un decotto di lattuga o un segno della croce. Come venivano percepite queste “cose meravigliose” dagli stessi testimoni e come si rapportavano con la medicina tradizionale, dato che a volte Leo consigliava di “non ti far toccare”?
“Non ti far toccare” non significa ciò che sembra, ma intendeva dire di fare attenzione a chi ci si rivolge o a chi ci si rapporta. La salute per lui, all’avanguardia anni e anni prima delle conoscenze mediche e scientifiche di oggi, era nelle nostre mani, nel nostro stile di vita, nella nostra spiritualità.
Il decotto, lo diceva lui stesso, era un punto su cui potersi appoggiare con o senza fede, una “piccola penitenza” per ricordare, essere presenti, comunicare con il proprio io ed il proprio corpo; un simbolo che se ci fosse stato oppure no non sarebbe cambiato nulla. Leo, infatti, colmava d’amore il suo prossimo e quell’amore, quell’energia positiva, dava una carica di forza agli anticorpi che, rinvigoriti e attivi, producevano il loro effetto di guarigione. Il corpo umano, concepito da Dio, è perfetto, diceva. È Dio che opera in esso per come l’ha modellato.

Il “Piccolo paese fuori dal mondo” a Monte Colombo (RN) è un centro nevralgico della sua opera. Qual era il progetto di Leo Amici per questa comunità e come sono state costruite le sue strutture, considerando che si partiva da un podere in stato di abbandono e solo dei ruderi?
Non è una comunità, nel Lago di Monte Colombo (RN) nessuno ci abita se non gli anziani nella loro casa famiglia, i bambini in stato di bisogno, i ragazzi iscritti all’Accademia di Teatro che vengono da lontano.
Ogni giorno, però, centinaia di volontari professionisti nei vari settori dell’accoglienza e del ristoro varcano i cancelli del lago.
Gli utili che derivano dalla commercializzazione dei tre ristoranti, l’albergo, il teatro, l’agriturismo eccetera… sono tutti devoluti in opere umanitarie e per il mantenimento del piccolo paese.
Le sue strutture sono state costruite nel tempo attraverso collette dei volontari che provengono sia dall’Italia che dall’estero che avevano conosciuto Leo Amici e che avevano abbracciato il suo progetto.

Il recupero di centinaia di giovani fatti uscire dal tunnel della droga è una delle pietre miliari della sua opera. Quali erano i principi alla base di questo successo, dato che i centri di recupero statali a volte li dichiaravano “irrecuperabili”?
L’amore, l’amore è l’arma più potente, ripeteva… al tempo Leo Amici era considerato un sognatore.
Solo oggi si tiene in considerazione il suo pensiero che allora era all’avanguardia.
Anche la scienza oggi dimostra quanto le sue risposte fossero giuste, benché anticipassero il nostro tempo di oggi.

Molti testimoni raccontano che Leo Amici sembrava conoscere “i pensieri più intimi” o anche che riuscisse a “leggere dentro” le persone. Ci sono stati casi in cui questa sua presunta capacità di vedere nell’anima ha portato a cambiamenti radicali o a scoperte personali significative per gli individui?
Questa sua capacità ha trasformato l’essere umano dal nero al bianco. Chiunque lo abbia incontrato non può dimenticarlo.

La “missione” di Leo Amici si estendeva ben oltre i confini italiani, toccando Europa, Africa, Australia e America, diffondendo pace, amore, fratellanza. Come veniva organizzata la diffusione del suo messaggio e del suo aiuto a livello internazionale, e quali sfide incontrava in questi viaggi, ad esempio, con le autorità?
Oggi esiste un’organizzazione con riconoscimenti sia statali che ecclesiali. Allora era tutto frutto di spontaneità, dunque si affrontavano semmai dubbi, malelingue o quant’altro da parte dell’opinione pubblica che però si esaurivano velocemente per chi volesse constatare e conoscere meglio la realtà.

Dopo la sua scomparsa nel 1986, alcune figure, tra cui tu stesso, avete continuato la sua opera. In che modo il vostro esempio e la vostra determinazione hanno permesso al progetto di continuare a crescere nel tempo, mantenendo viva l’eredità di Leo?
Non è stato difficile, al contrario abbiamo continuato con lo stesso entusiasmo, amore e fede. Ci siamo sempre sentiti seguiti da Leo, che sentiamo ancora vivo e presente, e dalla provvidenza.

Ad un lettore che, armato di una mentalità esclusivamente razionale o di una sana diffidenza, si approccia a questo volume colmo di fatti straordinari, quale messaggio diretto vuole trasmettere “LEO testimonianze”?
San Francesco non voleva convertire nessuno, semmai amare tutti.
Ho sentito semplicemente il dovere di trasmettere ciò che ho visto, conosciuto, praticato e di cui sono certo. E l’ho fatto anche attraverso altre voci oltre la mia.
È solo una proposta. Lui stesso diceva: “non mi devi credere, devi ricercare tu, constatare tu.”

Oltre a informare, “LEO testimonianze” sembra voler creare un’esperienza per il lettore, un’immersione in storie di vita vissuta e nel cuore dell’umanità che cerca risposte nel dolore. Qual è il percorso emotivo e spirituale che il lettore può aspettarsi di intraprendere sfogliando queste pagine, e quale messaggio più profondo spera che venga colto?
Quello di intraprendere profondamente un viaggio interiore in se stessi per conoscersi e conoscere la verità che è in noi. Rispondere ai nostri perché è possibile, così da coordinare ogni nostra azione fuori posto, trovare la pace conseguente e renderci socievoli in una società dove le barriere tra gli individui sono sempre più difficili da superare.

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