
Oggi incontriamo Berenice d’Este, autrice del romanzo “A Ovest della Felicità”, recentemente pubblicato da Neos Edizioni. Questo romanzo, che ha già ricevuto riconoscimenti al Premio “Alda Merini”, ci porta in un viaggio nel cuore di un piccolo paese del Sud Italia, dove la protagonista, Lietta, scopre l’amore e si confronta con i pregiudizi della sua comunità. Attraverso uno stile lirico e intenso, d’Este intreccia temi di amore e intolleranza, invitando il lettore a riflettere sull’importanza della diversità. L’autrice, che vive e lavora a Torino ed è anche regista di teatro e scrittrice di fiabe, ha già pubblicato altri libri di successo con Neos Edizioni.
Da cosa è nata la scelta del titolo?
Mi è piaciuto scegliere il termine “felicità” per il titolo, perché è un termine abusato, il cui significato sembra semplice e univoco. Il suo senso è invece, per noi esseri umani, da definire di volta in volta, di situazione in situazione. Nel romanzo, la felicità e il compimento dei desideri sono a portata di mano, infatti il sole dell’est illumina la bellezza del mare, dei colli, delle case dipinte, ma la luce del tramonto a volte tinge di rosso l’ergersi umano con il suo carico di scelte e decisioni, anche drammaticamente pesante. La felicità si dà, ma di contro a questa meravigliosa presenza, tocca a ogni individuo scegliere, senza dubbi e pregiudizi, la via che porta alla sua realizzazione.
Cosa l’ha ispirata a scrivere “A Ovest della Felicità”?
Nel mio tempo trascorso a scrivere ho spesso dato vita a testi complessi, cercando di rispondere alla mia esigenza di esprimere l’invisibile attraverso il sensibile, ma poi, ho sentito il desiderio di affrontare tematiche più vicine all’esperienza personale e di usare termini più legati alla vita quotidiana. Questo mio romanzo è pertanto aperto alle sensazioni, alla natura, e alle tradizioni, come fosse un veicolo di una socialità condivisa e felice che unifica, seppure temporaneamente, tutto ciò che la mente dell’uomo differenzia, essendo l’essere umano sempre in difesa del proprio io, anche a discapito delle relazioni con gli altri. Pertanto, a fronte di un’isola ridente e pacifica, unita nell’espressione dei costumi e della socialità, ho voluto parlare di una storia d’amore contrastata dal gruppo di abitanti che si pone, senza mai riflettere sui suoi modi di pensare, come depositario della verità.
I giornali hanno definito i protagonisti del suo libro, Lietta e Neirano, come moderni Giulietta e Romeo. Quali paralleli o differenze ha voluto sottolineare con la loro storia?
In quasi tutte le opere letterarie di ogni epoca, c’è sempre un buon motivo per ‘andare ad Ovest’ della felicità. Come gli eroi shakespeariani, i protagonisti di questo romanzo sono sostenuti e difesi da amici, da cuori nobili, qui da un Mercuzio-Nico, dal nome dolcemente mediterraneo come la sua grande anima, da un ‘frate Lorenzo’ femminile, che qui parla una lingua ignota alla protagonista e che le chiede di negarsi la felicità nel qui ed ora, per costruirne una ‘in esilio ’, insieme al suo amato. Alla realtà bisogna sapersi sottrarre quando la forza coercitiva, ottusa e corale dei contrasti, sociali nel caso della Verona Scaligera e razziali in quelli della nostra epoca, rischia di sfociare nella violenza, badando però che la scelta dell’esilio non contenga la lama affilata e il veleno dell’abdicazione alla felicità, come nella tragedia shakespeariana.
L’isola dove si svolge il romanzo è descritta come un luogo fuori dal tempo. Come ha costruito questo ambiente così evocativo? Si è ispirata a un luogo reale?
E’ difficile, per chiunque abbia avuto la fortuna di visitare quelle terre, sfuggire al fascino della Grecia, diffuso dall’isola di Pelope e dalle isole egee fino al Mar Mediterraneo. Tradizioni, costumi, nomi, simboli, dialetti, feste religiose e popolari, si sono frequentate e moltiplicate sotto il sole e nel blu delle coste meridionali italiane e hanno dato vita a paradisi di umanità e di cultura locale che si sono mantenute, per alcuni tratti, fino ad oggi.
In questo romanzo il mio amore per queste civiltà mi ha portato a descrivere un’isola senza tempo e senza nome, un luogo della fantasia e della vita, luogo in cui tornare, proprio come si fa a volte con ‘l’isola’ della propria infanzia, se ci si è vissuti felicemente. E così fa la protagonista Lietta, e qui inizia la sua storia.
Il tema del pregiudizio è centrale nel romanzo. Quale messaggio vorrebbe che i lettori portassero con sé dopo averlo letto?
I paesani che abitano l’isola si muovono un po’ come un coro greco, dando eco alle celebrazioni e alle tradizioni che copiose hanno luogo sul territorio, soprattutto in occasioni di feste locali, di matrimoni, e altro. Questa coralità dà enfasi alla convivialità, al senso di appartenenza, che sembrano costituire un cuscino soffice di accoglienza nei confronti di chi entra e di chi torna. La protagonista, Lietta, è accolta a braccia aperte e subito è reintegrata nel paese.
Vox populi però non è vox dei. Basta una sortita fuori dalle leggi del gruppo, basta una disunione, un’interpretazione libera del concetto di bellezza e di felicità, che gli abitanti dell’isola da gregge si fanno branco, e alcuni di loro si stagliano dal gruppo come cani pastori, per difendere la loro conforme unità. Se il diverso irrompe, l’ordine si sfigura, perdendo i lineamenti benevoli e omologanti. Mi sembra che riflettere su questi temi, oggi, sia un compito urgente e necessario.
Il libro è stato premiato dalla Giuria del concorso “Alda Merini”, 2023. Quanto è stato importante questo riconoscimento per la pubblicazione e per il suo percorso di scrittrice?
Per me partecipare ai premi è sempre stata un’occasione per mettermi alla prova e per ricevere, di volta in volta, le critiche costruttive e gli incoraggiamenti da parte della critica letteraria. Sono stata felice di aver vinto alcuni premi nazionali e internazionali. La pubblicazione di un’opera è certamente una tappa molto importante e non scontata nell’iter degli scrittori, allo stesso tempo è un punto di arrivo di un percorso di crescita, che può avere soste formative interessanti e che può permettere di essere apprezzati e di mostrare le proprie caratteristiche distintive.
Il romanzo intreccia momenti di dolcezza e poesia con tensioni sociali profonde. Come è riuscita a bilanciare questi due aspetti?
Risponderò con franchezza a questa interessante domanda. Mi è capitato in questo romanzo, come mai in altri, di immergermi totalmente nelle atmosfere che si creavano sotto la mia penna. Ho gustato il profumo dei fiori dell’isola, illuminati dalla luce del giorno, come volessero accogliere gli innamorati, e i raggi dorati del sole che si spandevano con grazia e con possenza, a espressione della magnificenza di Neirano, il protagonista maschile, affascinante musicista. Gli alberi intorno spargevano fragranze, e la magnificenza del suono delle onde mi ha sollevato, come accaduto ai protagonisti, in un Eden privilegiato. Voglio dire che l’impianto dell’opera, una volta tracciato, ha percorso le strade dell’isola a briglia sciolta, sia nella luminosità e sia nell’oscurità delle motivazioni delle azioni umane sfociate in assurde tensioni sociali. La compenetrazione di questi mondi è stata portata avanti dalla trama, ma in definitiva è stato il libero godimento delle scene solari ad avere la meglio, in assoluto.
Quanto c’è della sua esperienza personale in questo romanzo?
La mia esperienza personale, così come i miei viaggi alla scoperta di etnie e di civiltà diverse da quelle occidentali, e le mie intense letture, permeano la mia sensibilità, il mio punto di vista, e il mio ‘tocco’, come dice in modo lusinghiero Massimo Tallone, nell’introduzione. Sono dell’idea però che l’esperienza personale vada decantata, purificata dai suoi condizionamenti immediati, e alimentata da nuovi approdi, nel mai finito viaggio verso l‘”Itaca” di Konstantinos Kavafis.
Neirano appartiene alla comunità Rom, spesso vittima di stereotipi. Cosa l’ha portata a scegliere questa specifica appartenenza per il personaggio?
Appassionata sin dall’infanzia, in modo istintivo, ai paesi distanti, alle manifestazioni culturali e artistiche, ricche di simboli e di umanità, ho perseguito il mio desiderio di entrare in contatto con i luoghi ‘del possibile’ e con tradizioni locali, venendo a conoscere etnie e comunità a volte segnatamente segregate rispetto al vivere comune nelle città. Ho avuto anche l’occasione di vivere in prima persona la magia e il calore di alcuni gruppi Rom, in occasione di festival musicali, e ho anche approfondito con lo studio di alcuni libri la loro cultura, le loro vicende storiche, come le persecuzioni di cui sono stati fatti oggetto.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Non riesco quasi mai a rimanere fissa in un genere letterario, forse perché la multiformità della vita mi attrae e mi richiama a cercare un’espressione stilistica ogni volta diversa, sempre per tendere verso una crescita personale artistica. Penso che dopo questo romanzo ritornerò al mio primo amore, il Teatro, con un excursus storico delle tradizioni teatrali dell’Est e dell’Ovest.
Grazie per aver passato questo tempo insieme, è stato molto gradevole. Riflettere sul proprio lavoro dal punto di vista del lettore è un’esperienza privilegiata e spero di poter continuare questo cammino con tutti voi.
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