Intervista a Gennaro Maria Guaccio

Intervista a Gennaro Maria Guaccio

Dimenticate le fiamme, le corna e il puzzo di zolfo. Immaginate, piuttosto, un interrogatorio. Uno spazio-tempo indefinito, forse il cratere di un satellite morto, dove il male è costretto a rendere conto di sé. È questa la brillante premessa strutturale di “A ciascuno il suo diavolo”, romanzo che si svolge come una deposizione: a narrare la sua storia è Greta, un demone custode, che racconta la sua più recente e frustrante sconfitta all’Arcangelo Michele, “l’impareggiabile Cavaliere del cielo”.

Attraverso questo astuto dispositivo di una confessione demoniaca, Gennaro Maria Guaccio ci presenta un avversario non terrificante, ma un intellettuale sofisticato, quasi annoiato da un’eternità di conflitti vani. Assegnato a un’anima, Greta preferirebbe discutere di musica e filosofia piuttosto che tentare Agnese, una “insulsa giovinetta di campagna”. Questa prospettiva unica e ironica ci costringe a porci una domanda fondamentale: cosa possiamo imparare sul bene, sul male e sulla fede quando a parlarcene, sotto esame celeste, è proprio colui che dovrebbe incarnare la tentazione?

Gennaro Maria Guaccio, A ciascuno il suo diavolo è narrato da Greta, un’entità diabolica che si definisce un “povero diavolo”, un “androgino” con il titolo di duca a capo di 26 legioni di demoni. Come è nata l’idea di affidare il racconto della vita di Agnese a una prospettiva così singolare, che si presenta come la sua “custode”?
Greta, nome inventato, non codificato negli elenchi demonologici tipo La piccola chiave di Salomone, è un diavolo importante: viene infatti presentato come un Duca, quindi un signore dell’inferno. D’alta parte egli (ella), pur nella sua ambiguità, si presenta da intellettuale: l’arcangelo Michele lo scova, infatti, nel nucleo di un atomo di azoto che medita sui libri del Discorso della montagna. Ad Agnese, della quale poi Greta si era reso conto di non trovarsi più dinanzi a una “insulsa giovinetta di campagna”, spettava un demone della sua levatura. Fuori della metafora diabolica, le tentazioni di un intelletto audace, speculativo e perspicace come quello di Agnese, meritavano un alter-ego, se non pure un’autocoscienza, di uguale livello.

Greta afferma che l’umanità è intrisa di diavoleria, “tanto quanto, probabilmente, il diavolo è intriso di umanità”. Il confine tra tentazione e libero arbitrio appare sottile: nel suo romanzo, il male è una forza esterna o l’ineludibile “intervallo del male”, che fa parte della natura stessa dell’esistenza umana?
Il male non è un ente di per sé. Ci sono persone che pensano o compiono azioni malvage: il male è compiere azioni non conformi alle regole e, poiché queste si convengono in un ambito sociale, male è tradire le persone che ne fanno parte. È pur vero che ogni individuo (persona) gode della libertà di decidere di accettare o rifiutare le regole e perciò, intrinsecamente, nell’intervallo tra un sì e un no si annida naturalmente ciò che chiamiamo il male, che si estrinseca nel no.

La paura di volare di Agnese, che lei stessa riconosce essere “tutt’uno con quella di prendere iniziative”, è un tema centrale della sua lotta contro la costrizione. Come è rappresentato nel romanzo il superamento di questa paura, e in che modo l’aereo, che le causa un forte senso di oppressione e le ricorda il carcere, diventa l’incubatore della sua definitiva scelta di trovare la sua “nuova condizione di libertà”?
Il noto romanzo di Erica Jong, Paura di volare, che Agnese aveva letto da giovinetta, fa da sfondo al suo timore dinanzi all’incognito. Ella, che aveva già volato, anche quando Mimmone, suo padre, la lanciava in alto, quand’era piccina, spaventandola, ma riaccogliendola tra le sue affettuose braccia, aveva bisogno nella vita, ormai dopo tante peripezie affrontate da sola, di qualcuno che la sorreggesse nella caduta. Ebbene, nell’ultimo suo viaggio in aereo, tormentata ancora una volta dall’angustia del luogo, pensando anche alla condizione di chi stia rinchiuso in carcere, ella riesce a sentirsi finalmente libera di volare, grazie alla scoperta della presenza affettuosa, mai prima pensata o creduta, dell’amico señor Domingo. Mai prima aveva avvertito accanto a sé, vicino alla sua anima, una partecipazione così delicata, intensa e attenta alle sue apprensioni.

Agnese rinuncia all’amore per Don Giorgio scegliendo invece di sposare Domingo Svevo, un imprenditore vitivinicolo. Considerata la sua lunga ricerca spirituale e la sua riluttanza iniziale a prendere iniziative, la sua scelta di sposare Domingo — un uomo di successo materiale che le offre stabilità e aiuto pratico — è il segno di una caduta nelle “lusinghe del mondo” o rappresenta il trionfo della sua ritrovata libertà di scelta?
Agnese non scade affatto verso le lusinghe del mondo. Aveva già fatto conto di crescere da sola la creatura che aveva in grembo, con l’aiuto se mai delle consorelle focolarine, lavorando di suo, minimamente pensando a trovarsi marito o comunque una soluzione di comodo famigliare. Ultimamente, dopo il ritorno a Pagno, il suo paese natale, avrebbe anche potuto chiedere ospitalità al fratello Gervasio e l’avrebbe ottenuta, contentandosi di un piccolo spazio vitale. Invece, affronta il volo e si reca là dove nutre ancora la speranza di poter essere operativa e costruttiva nei riguardi dei più diseredati e bisognevoli.

Nonostante Greta sia un duca infernale fallisce miseramente nel suo compito di sedurre Agnese. Quali sono state, secondo lei, le armi decisive di Agnese contro le legioni del diavolo, e quanto è insolito per un diavolo provare ammirazione e compassione?
Non sarebbe la prima volta che un demone venga sconfitto ed è vero che la potenza di Saytan non è infinita. Agnese lo fa per mezzo della sua fede. Nell’ambito della religione cristiana ogni credente battezzato ha il potere di resistere al diavolo, dipende solo dalla sua volontà, ovvero dalle sue scelte. Chiaramente, coloro che sono stati elevati alle soglie degli altari gli hanno resistito, l’hanno sconfitto: povero diavolo, direbbe Greta. Quanto alle “legioni del diavolo” possiamo intendere i vari aspetti sotto i quali esso si presenta, per esempio le masche, le mosche, i gatti neri e i topi, ma anche Gem o l’unicorno o una monaca isterica. Quanto poi a una sensibile simpatia verso una persona, come Il diavolo del Faust di Marlowe o il Lucifero di Paradiso Perduto di Milton, forse un diavolo per sua natura non può provare né ammirazione, né compassione, ma quello iato tra il sì e il no della libertà di scelta può essere un autocompiacimento di aver scelto per il meglio.

Nella sua narrazione, la voce del diavolo, Greta, chiarisce che il suo obiettivo è produrre un “rumore ruvido e persistente che non potrebbe non essere percepito da chicchessia, se non che gli uomini sono abituati al mondo e non se ne accorgono”. Questo suggerisce che il male non sia un evento spettacolare o una tentazione isolata, ma un fenomeno costante, quasi una condizione di fondo dell’esistenza umana. Potrebbe spiegarci meglio come ha sviluppato questa idea nel romanzo? Inoltre, in che modo la tendenza degli uomini a non accorgersi di questo rumore di fondo li rende più vulnerabili?
Inquietudine e disagio sono nell’incipit musicale Dies Irae della Messa di requiem di Mozart, allor quando l’utilizzo dell’intervallo di tritono (semplificando: Re+/La+) produce un suono aspro, che apre ai timori del Giudizio Universale. In effetti a un orecchio comune il suono appare forte, solenne, penetrante e anche entusiasmante. Quello che va osservato è che l’effetto di tritono è affatto secondo natura e non è eliminabile. Nell’umanità la libertà di scelta tra bene e male è altrettanto naturale ed ineliminabile. Al limite, proprio questo sembra essere il male: l’incapacità di rendersi conto della preziosità di questa virtù di scelta. Questa è la virtù più preziosa che l’uomo possegga e di cui bisognerebbe avere piena coscienza per utilizzarla al meglio ad evitare il video bona sed ago male.

Il romanzo è retto da un dialogo in “uno spazio-tempo indeterminato” tra Greta e Michele, il “glorioso Cavaliere del cielo”, che si incontrano in luoghi di confine come il cratere di Kepler sulla Luna o Wadi Qumran. Qual è la funzione di questa cornice narrativa cosmica e teologica?
È un modo per mettere a confronto questioni teologico-filosofiche e l’agire, rispetto ad esse, dell’uomo nella storia, che attiene all’esistenza in quanto tale. È il tema di fondo di tutto il romanzo e di ciò di cui fin qui ho già detto: il senso del male.

I suoi saggi precedenti si sono occupati del rapporto tra scienza e fede. Nel romanzo, don Giorgio propone l’analogia della molecola d’acqua per spiegare che l’identità dell’uomo si rivela nel “noi” e non nell’isolamento. Ritiene che questa sia l’unica verità? O, come suggerisce Greta, nel mondo esistono “più di una verità”, alimentando quel senso di confusione che lei stessa considera opportuno per “smarrirci” e adescarci?
Sì, in quei saggi ho cercato di dire che la scienza acquista senso pieno quando tenga conto di una fede, altrimenti è fine a sé stessa e non illumina nessuna verità. Diventa subito chiaro che a Fede differente corrisponda verità differente. Ma in diversi casi alcuni fattori coincidono. Per esempio il fatto che l’identità di una persona si riveli in rapporto a quella di ogni altro è una verità vera dovunque. Purtroppo è nell’incontro tra Fedi diverse che nasce l’ambiguità e si generano inimicizie e lotte e qui…interviene il diavolo che le alimenta.

Il romanzo non ignora le realtà più dure, in particolare l’esperienza di Agnese nelle villas argentine, dove si scontra con la miseria, la droga e il terribile traffico di organi umani. Questi sono problemi che la Chiesa condanna come “crimine contro l’umanità”. Quale messaggio intendeva veicolare attraverso l’esposizione di queste “realtà sociali affatto nuove e sovente sconcertanti”, e in che misura riflettono il suo interesse per la giustizia e i sistemi sociali?
Comunità come quella delle villas di Buenos Aires hanno una particolare vulnerabilità per quanto concerne ogni aspetto del degrado sociale. Agnese, la protagonista del mio romanzo, si fa parte in causa per aiutare la gente che ci vive ad avere, se non altro, un po’ di sollievo da una vita grama e la coscienza di un dovere altro che dia senso all’esistenza. Ella mette a confronto anche certe teorie teologico-filosofiche che cercano di spiegare che cosa debba intendersi per dignità umana, ma esse a poco valgono se una giovanissima ragazza è costretta a svendersi per un paio di mutandine pulite o un ragazzino scompare e nessuno ne sa più nulla.

C’è un’opera o un autore specifico, tra quelli che lei ammira, che ha influenzato in modo diretto il tono, la struttura o la satira presente in A ciascuno il suo diavolo?
Micahil Bulgakov con il suo romanzo Il maestro e Margherita, per quanto riguarda la presenza del diavolo nelle questioni umane. John Milton per il discorso sul senso della libertà. La dannazione di Faust che dialoga con Mefistofele. José Saramago, in generale, per i toni ironici.

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