Ci siamo divertiti a leggere questo thriller. Gino Dondi usa una scrittura scorrevole e lineare che riesce a mantenere il lettore col fiato sospeso e che insinua un dubbio: se la risurrezione di Gesù fosse un falso storico? Facciamoci guidare dall’autore stesso nella scoperta di questo romanzo.
Partiamo dal titolo del libro: perché la scelta del latino?
Il titolo di un libro, al pari dell’etichetta di un prodotto, deve trasmettere l’idea del contenuto. In questo caso quindi “Il maggior segreto della Chiesa”. Ho preferito il latino perché è la lingua ufficiale della Chiesa, e ne rappresenta la continuità storica partendo proprio dalle radici. Se vogliamo ne raffigura un immobilismo che si nutre più di credenze che di razionalità.
Ci racconti brevemente la trama del libro.
La trama si sviluppa partendo dal legame sentimentale tra il parroco di un piccolo paese e una studiosa di letteratura antica. Loro malgrado saranno coinvolti nel ritrovamento di un antico papiro nel quale Ponzio Pilato relaziona al suo superiore sulla morte di Gesù. Il prefetto della Palestina dà una versione dei fatti che contrasta con le successive ricostruzioni dei vangeli. Un documento che, se autentico, potrebbe mettere in discussione la natura stessa del Cristo.
Da dove è nata l’idea di questa storia?
Ho sempre avuto una forte attrazione per le ragioni della spiritualità, soprattutto in rapporto con la realtà materiale. L’idea del romanzo è nata dalla lettura di un saggio nel quale l’autore sosteneva la indimostrabilità storica della risurrezione di Gesù. In effetti le fonti disponibili sulla sua vita sono state redatte dopo decenni dalla sua scomparsa e scritte da seguaci, con intenti teologici e non storici.
Oltre a quello religioso, che emerge chiaramente dal titolo, quali sono i temi trattati nel romanzo?
Il romanzo ha varie sfaccettature. Una di queste è il tema spinoso del celibato sacerdotale.
I due protagonisti si confrontano su questo in un’accesa discussione: don Nicola, cercando di sottrarsi al legame con l’amante, afferma: “La sacralità del prete è figura asessuata che marca la sua superiorità rispetto agli altri fedeli. Diventa un simbolo senza sessualità.” Lei ribatte: “No, Nicola! Non è condizione indispensabile di chi vuole mettersi al servizio della comunità”. Ancora lui: “Sì, invece, un prete non solo deve astenersi da qualsiasi rapporto sessuale, ma anche avere un cuore libero da legami.”
Purtroppo, ancora oggi, il prete che viola la regola d’ingaggio del celibato dovrà nascondere la sua relazione e vivere con senso di colpa, perdendo così il diritto di avere una vita affettiva.
Credo che sarebbe opportuno che la Chiesa prendesse coscienza che i tempi sono cambiati, anche tenuto conto della timida apertura di Papa Francesco quando ha affermato che il celibato non è un dogma di fede, ma una regola di vita, che apprezza come dono della Chiesa. Ma non essendo un dogma di fede, c’è sempre una porta aperta.
L’ipotesi che la risurrezione di Gesù sia un falso storico potrebbe turbare la sensibilità dei credenti. In che modo ha affrontato l’argomento?
Il rischio di sconfinare nel terreno della saggistica storica, e di esprimere una posizione ideologica, mi è sempre stato presente. E a dire il vero ne sono stato tentato, magari mettendo citazioni di storici in bocca ai protagonisti. Ho quindi cercato di mantenermi il più possibile sul piano narrativo.
Perché ha voluto correre il rischio di addentrarsi in questo ambito?
Credo che l’argomento sia stimolante, e in effetti ho trattato argomenti che possono risultare imbarazzanti per alcune sensibilità religiose.
Per un credente può essere scioccante ipotizzare che la Risurrezione sia un falso storico: sentono odore di eresia, e immagino che la quasi totalità dei cattolici si tenga alla larga da certe domande.
Appunto per questo ho cercato di usare garbo e rispetto. In fondo un romanzo non deve avere la pretesa di dare risposte, al massimo insinuare dubbi.
Da dove nasce l’idea di costruire capitoli brevi, alcuni addirittura di pochi righi?
Devo dire che questa impostazione non nasce da un progetto preciso. Credo che derivi dalla mia caratteristica di arrivare sempre a una sintesi: di un pensiero o del senso di un testo o di un’idea.
Il romanzo ha vinto il primo premio Alberoandronico 2019. Con quali motivazioni?
“La buona introspezione psicologica, la conoscenza della materia e gli interrogativi che certamente pone al lettore, credente o meno, ne fanno non solo un romanzo accattivante in cui gli elementi eterogenei si fondono in maniera armonica, ma anche profondo e leggibile a vari livelli. Scrittura matura esercitata su una vicenda in cui si interseca un amore che si fa travolgente sullo sfondo di un atto criminoso e di un tormento religioso che si snoda lungo un percorso di profonda solidarietà umana.”
Ci parli un po’ di lei, chi è?
Vivo e lavora a Parma dove svolgo un’attività imprenditoriale, che mi impegna dalle 10 alle 12 ore al giorno. Il tempo di leggere e scrivere? Al mattino, prestissimo.
Possiamo sbirciare nel cassetto di Gino Dondi, cosa c’è?
In questi mesi sto lavorando alla storia di un predicatore, uno dei tanti che al tempo di Tiberius percorreva le strade della Galilea.
Un uomo semplice che non conosce a fondo le Sacre Scritture, la sua predicazione non ha basi teologiche o filosofiche, come poi sarà per sant’Agostino, e nemmeno una visione universale della fede, propria di san Paolo.
Un uomo, un po’ visionario, che si scaglia contro la corruzione e lo sfarzo dei sacerdoti. Il Sinedrio, sentendosi minacciato, chiede a Pontius Pilatus di metterlo a morte. Il procuratore romano, lo giudica “un povero mentecatto inoffensivo”, ma le pressioni della casta sacerdotale lo inducono a condannarlo “per mantenere delicati equilibri.” Il romanzo si sofferma soprattutto sulla figura di Pilatus dilaniato dal dubbio se rispondere alla propria coscienza di uomo giusto o cedere alla logica della Ragion di Stato.
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