Intervista a Anna Maria Anzini

Intervista a Anna Maria Anzini

Anna Maria Anzini con “Il destino decide per te” ripercorre un’amara vicenda che le è realmente accaduta. Il libro, impreziosito dalla prefazione del giornalista Carmelo Abbate, offre l’occasione di riflettere sulle relazioni genitori-figli, sulla maternità, sull’esperienza dell’adozione, sulle difficoltà e sulle gioie che ne derivano.

Anna Maria Anzini, come nasce questo libro?
Questo libro nasce perché ad un certo punto della mia vita, dopo aver vissuto l’avventura più entusiasmante che si potesse desiderare, ovvero quella di diventare madre e soprattutto di una bambina già grande di otto anni, cambogiana orfana lasciata in un istituto in condizioni disagiate e in imminente pericolo di vita, mi sono ritrovata con il cuore distrutto, annientata dai sensi di colpa, l’odio di mia figlia sulla pelle e una situazione drammatica soprattutto per lei perché ha incontrato la persona che ha risvegliato il mostro dormiente che era in lei. Vorrei che questo libro toccasse soprattutto il suo cuore e l’aiutasse a capire in che situazione si trova: isolata da tutti. Il senso di colpa che ho provato è stato per i dubbi che forse non ho saputo fare la madre. Ho scatenato in lei l’odio e non l’amore. Dopo due anni di psicoterapia ho capito di aver sbagliato nel valutare certi comportamenti.  L’ho considerata una figlia biologica, ho dimenticato che era adottata e che i fantasmi del passato possono riapparire anche dopo anni.

A cosa allude il titolo “Il destino decide per te”?
“Il destino decide per te” perché io sono stata sempre una lottatrice, ad ogni avversità ho tirato fuori le unghie. Ho cercato un figlio con caparbietà e alla fine ce l’ho fatta. Ho fatto l’esperienza più bella che potessi fare, mi sono imposta di dare a questa bambina il futuro che le spettava ed un passato che le era stato negato. Ma alla fine il destino, nel mio caso con sembianze umane, un ragazzo possessivo che ha trovato terreno fertile in quanto ragazza fragile e le ha ritolto tutto: genitori, famiglia, amici e soprattutto vita sociale. Nessuno ne sa niente. Come non fosse mai esistita.

Nel sottotitolo si afferma che raccontare un dolore agli altri ha valore terapeutico. Per lei è stato così?
Sì, raccontarsi ha un valore terapeutico. In questi due anni con la psicoterapia e la scrittura del libro ho capito tante cose. Soprattutto che il dolore va condiviso, che le nostre esperienze negative possono essere d’aiuto ad altri. Se ti tieni tutto dentro il tuo viso è triste e buio, io invece parlo, mi sfogo, mi confronto e la mia vita scorre in una apparente normalità, al contrario non scorrerebbe proprio.

Il libro ripercorre una vicenda drammatica. Quali emozioni ha provato nello scriverlo?
Mentre lo scrivevo è stato un crescendo di emozioni perché nel ripercorrere tutte le tappe della tua vita riaffiorano i ricordi. Alcuni solo brillanti, esilaranti altri sono strazianti ed è stato come vedere un film di una terza persona ma ad un certo punto mi accorgevo che ero io la protagonista. Nel ricordare le cose ho imparato a non dare per scontate certe reazioni. A fare ammenda, a capire che forse non si ha sempre ragione, anche se facciamo tutto a fin di bene.

Dal testo emerge la difficoltà di essere genitori. Cosa si sentirebbe di dire a quei genitori biologici o adottivi che vivono la sua stessa situazione?
Non riesco a dare consigli in merito al comportamento da adottare con i propri figli. Ogni ragazzo è diverso, ha un mondo suo in sé. L’unica cosa che mi sento di consigliare è di fare più attenzione ai loro comportamenti perché c’è sempre qualcosa da analizzare. La pigrizia, l’incomunicabilità, le porte chiuse delle loro stanze, gli amici che frequentano oggi hanno un significato diverso da trent’anni fa. Dietro a dei comportamenti che noi possiamo pensare siano dovuti all’immaturità e che possano trasformarsi con la crescita, ci possono essere seri turbamenti che hanno bisogno di essere valutati ed elaborati in psicologia. E’ inutile, i nostri figli anche se te lo fanno credere, a te non dicono tutto.

Che definizione dà di se stessa come madre?
Avrei voluto essere una madre che avesse potuto giocare con la propria figlia, oltre all’educazione ed ai valori da trasferirle, ma non ho potuto, era troppo grande doveva recuperare gli anni persi per avere un futuro in questa strana società. Ma come si fa a parlare con i professori che ti danno una pagella disastrosa e prendere tua figlia in un abbraccio lungo e amorevole. Non puoi e allora ti ritrovi a fare solo l’educatrice, l’istitutrice e tua figlia ti odia, anche se tutti ti dicono passerà. Mi definisco una madre come tante che ha fatto tanti errori ma a fin di bene. Con il senno del poi…

Quali sono i suoi attuali rapporti con sua figlia?
Mia figlia ha chiuso i rapporti con i genitori, la famiglia che l’ha amata subito, tutti gli amici di 13 anni di vita in Italia, da amante dei social non ne ha più uno. Vive con questo ragazzo che l’ha turbata 3 anni fa, non studia, non lavora, non frequenta nessun posto della movida di Roma. Ci ha denunciato per maltrattamenti e ci ha chiesto il mantenimento. Per il momento il caso giudiziario è fermo perché non sono stati riconosciuti maltrattamenti ecc. Ma io non credo e non crederò mai che questa decisione l’ha presa da sola ma vive questo amore malato e tossico creando una situazione preoccupante. Io vivo nel terrore che le possa succedere qualcosa di grave. Non riesco più a sentire un telegiornale visto come vengono trattate le donne troppo fragili.

Se potesse riavvolgere il nastro della storia e tornare indietro, rifarebbe tutto o c’è qualcosa che si rimprovera?
Mi rimprovero molte cose, ma purtroppo sono una donna normale che ha fatto tanti errori e continuerà a farli perché nessuno è infallibile. Se sei umana sbagli, l’importante è a fin di bene. In questo momento tornassi indietro e avendo adottato una bambina grande, invece di concentrarmi solo sullo studio avrei fatto seguire a mia figlia un percorso psicoterapeutico da subito, perché i primi otto anni di vita per un bambino sono importantissimi. Nessuno le aveva insegnato ad amare. Abbiamo pensato che donarle una vita dorata sarebbe stato sufficiente.

Ci parli di lei, chi è e cosa fa nella vita?
Nella vita io sono una donna semplice, dirigo un agenzia immobiliare a Roma, svolgo un lavoro molto difficile vista la situazione economica del momento. Non ho molto tempo per me stessa perché il lavoro mi ruba tanto tempo, è difficile anche se qualcuno pensa che ci siano guadagni facili. Ho sempre avuto molte amicizie, ho una chat su whatsApp con amiche che conosco dal tempo del liceo. Tutti mi dicono che ho un carattere deciso, determinato ma so anche essere di compagnia, so aiutare con consigli chi si confida con me. Insomma non risulto antipatica agli occhi degli altri. Anzi.

Quali sono i suoi prossimi progetti letterari?
Il mio sogno… riprendere il pc e scrivere un secondo libro, sempre sulla mia vita, con mia figlia libera dalle catene, che non provi più odio per me, magari all’estero a studiare, magari con un semplice lavoro che l’appaghi, in compagnia dei suoi innumerevoli amici, che esca la sera, che mi chiami, che mi faccia arrabbiare, che mi chieda consigli, che faccia le sue esperienze, che si liberi di questa situazione di sudditanza, rivederla sorridere, rivedere la cura che metteva nel pettinare i suoi lunghi capelli neri, i suoi occhi a mandorla bellissimi,  e poi  vederla felice con un compagno che l’ami veramente e non la possegga come una proprietà, e magari perché no un giorno mi dica all’orecchio… mamma diventi nonna…

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