Intervista a Bruna Spagnuolo

Intervista a Bruna Spagnuolo

Bruna Spagnuolo, tramite la S.O.S. ROOTS, ha pubblicato quattro volumi che compongono un’unica saga, quella del popolo messapico. Il primo si intitola Angela – Gli eredi dei Messapi.

Abbiamo pubblicato solo il primo volume della saga. Vorremmo dare appuntamento ai fedelissimi di Due Minuti Un Libro con i successivi tre volumii della saga (se Due Minuti Un Libro li vorrà). Il secondo volume, Eliade (Gli eredi di Priamo), potrebbe uscire per il nuovo anno (gennaio-febbraio 2022…) e poi, a seguire, il terzo, magari per l’estate 2022, e il quarto per Natale 2022 (appprossimativamente, Inshallah, se Dio vuole, come dicono i miei amici islamici). Tra ottobre e dicembre, per il prossimo Santo Natale, abbiamo programmato il “richiamo” per Il primo volume. Così avremmo, se Due Minuti Un Libro ci vorrà, un calendario “successivo” al presente rapporto, a partire dal Natale 2021.

Cerchiamo prima di inquadrare l’opera nella sua interezza, cioè tutta la saga, per poi entrare nello specifico di questo primo Volume. Chi sono i “Messapi” citati nel sottotitolo del libro?
In varie fonti si legge che “i Messapi erano una tribù iapigia”. Di ben altro avviso è il contenuto ampio, approfondito e ben circostanziato di questa saga che, ribadisco, non è un trattato né un saggio ma un’opera di narrativa letteraria libera di orientarsi tra mito, protostoria, glottologia, archeologia e letteratura. Messapi e Iapigi esistevano ma gli uni non erano gli altri e leggendarie e appassionanti sono le vie che ne hanno unito i destini. Ciò e molto di più si narra in questa saga. Nel primo volume, però, il nome dei Messapi non è che l’eco millenaria del filo di Arianna che lega i volumi della saga tra loro.

Nella nota dell’autrice, in fondo al primo volume della saga, si legge: «Il titolo con cui l’opera è nata è Angeli in ginocchio, ma, in una prima stesura era stato cambiato in Le travalicazioni dei promessi sposi del Pollino, poiché s’impernia attorno a diverse coppie di sposi promessi, che riescono a diventare, infine, sposi, tra avversità invincibili e fatali. Ciò nulla aveva a che fare con alcuna pretesa di confronto con I Promessi Sposi unici/ eccelsi manzoniani “sacri” alla letteratura. Poiché narra, con introspezioni profonde e con descrizioni vaste e documentate, luoghi, genti e vicissitudini epiche legate ai tempi e alle stagioni di protostorica messapica memoria e alle epopee del Novecento delle genti degli stessi luoghi, ignare delle loro radici, Angeli in ginocchio è la saga del popolo messapico

Che cosa racconta l’intera saga?
Come una matriosca a quattro scomparti, la saga si snoda su quattro libri, quattro storie totalmente indipendenti eppure intimamente connesse e collegate da tasselli misteriosi che si schiudono a catena l’uno nell’altro, uno dopo l’altro.
Questa saga è un’opera di narrativa e non un saggio. È frutto del genio letterario libero di sopperire alle mappe storiche, umane e geografiche con le vie leggiadre delle muse dell’ispirazione. Nonostante ciò, il canovaccio della sua nascita poggia le basi su qualcosa di più della pura fantasia, poiché la sua stesura ha richiesto sopralluoghi e ricerche per realizzare i quali ho viaggiato fisicamente, seguendo le vie dei semi archeologici e glottologici, dalla valle dell’Indo all’antica Ilio, alla Troia omerica, nella mitica Troade, fino all’antica Siris, sulle coste italiche, e ai ritrovamenti enotri, nelle valli lucane del Sinni e del Sarmento. Il primo libro, la storia di Angela e Gaetano, dall’ambientazione vivida e lirica, è abitato dalla gattopardiana mediterranea rassegnazione con cui l’autarchica civiltà contadina gestisce la propria impotenza di fronte agli eventi che investono il micro e il macro cosmo. Narra dell’amore epico tra Angela e Gaetano e delle strane visioni, che schiudono il finale sul mistero tutt’altro che concluso da cui prende il via la storia narrata nel secondo libro, Eliade (Gli eredi di Priamo). Parte dalla Troia del mito la gente che giunge alle coste italiche e si diffonde al suo interno, stando al mito, agli storici e all’archeologia. Nel romanzo narrato in questo secondo volume della saga, discende dal ramo ereditario creato da Priamo con la fanciulla lelega, che sposa senza ripudiare Ecuba e instaurando la poligamia, la stirpe che si stanzia sullo Ionio e poi risale fino alla Val Sarmento, teatro del romanzo. L’epopea affascinante di Eliade e del grande Cheones, suo sposo, riempie le pagine di segreti e di ininterrotto incanto commisurato ai tempi, finché sfocia nel terzo volume. In Virgilia (Gli eredi di colui che volle erba per sette cavalli), l’eroina parte dal mistero delle parole di sua madre Angela e vive una ricerca e una catarsi che sfociano nel quarto volume. È Egea (…e i vinti assoggettarono il vincitore) l’ultimo volume della saga, quello in cui tutti i tasselli cadono al loro posto e genti e luoghi trovano la giusta collocazione, non senza un alone di mistero…

Entriamo più a fondo nel primo volume: dove è ambientata la storia che ci racconta e chi sono i protagonisti?
*Angela (Gli eredi dei Messapi) il primo dei quattro volumi di una saga di narrativa letteraria ambientata nell’estremo Sud italiano, è intrisa della tipicità italica legata all’esotismo geografico e antropologico della campionatura rarissima di usanze, tradizioni e canti delle comunità abbarbicate alle pendici lucane del massiccio del Pollino. È un romanzo molto corposo, al contrario degli altri volumi della saga dal formato pocket. Ha come protagonisti i campagnoli che gravitano attorno a due paesi: Noia, oggi Noepoli, e S. Costantino Albanese. Narra una storia epica diversa da tutte le storie mai lette: quella di due campagnoli d’eccezione, la giovane Angela, ricca di bellezza e di virtù inenarrabili e corteggaiata da giovani di tutti i ceti sociali, e Gaetano, un bel tenebroso dalla storia misteriosa. Come si deduce dal titolo, Angela condivide il protagonismo con il contenuto della parentesi, cioè con tutti gli abitanti di Sognalaluna, la contrada bersagliata dal ponente impetuoso e dalle tramontane taglienti, che è un belvedere di cieli stellati, valori eterni e tragiche passioni ma anche di percezioni connesse con altre vite- altri tempi degli stessi luoghi. Questo romanzo è il canto della vita e della morte e di un retaggio tutto mediterraneo della rassegnazione fatale del contadino, “uovo tra le pietre”, ginestra che si piega tra le spire del destino e che, senza saperlo, le modella con la forza possente dei calli e del sudore trasformati in fede e in puro Amore. È anche un monumento alle svolte epocali irreversibili e grandiose del dopoguerra, che ha travolto personaggi umili e straordinari come Angela e Gaetano e, allo stesso tempo, li ha annoverati tra i suoi fermenti lievitanti inarrestabili. Questo libro è molte, molte cose non sintetizzabili in poche righe, ma, innanzitutto e senza alcun dubbio, è un monumento agli abissi insondabili dell’amore che sfugge all’essere umano eppure ne intride ogni cellula e ogni respiro.

Quali insegnamenti vuole consegnarci questo romanzo?
I lettori troveranno, nella “nota dell’autrice”, in fondo al libro, queste parole:
«Quest’opera vuole essere, per le menti che cercano un contesto identificante tra le radici sfuggenti del passato e la “civiltà” tecnologica paradossale, una tappa-appiglio cui volgersi e cui far riferimento.
Nella confusione di questa nostra era travagliata, che, una volta sì e una volta sempre, pare smarrire la direzione dei punti cardinali della saggezza e della pace, si pone come umile lampada accesa sull’altare dell’amore. Così l’ho concepita e così la dono a tutti coloro che sapranno lottare perché i valori tesi a rendere ogni uomo fratello all’altro uomo non debbano mai morire.»

Una menzione va fatta allo stile adottato: vivido, intenso con richiami omerici, gattopardiani e veristi. Perché questa scelta?
Lo stile, ahimè, non si sceglie: nasce dall’inarrestabile pressione con cui i soggetti della narrazione stabiliscono il loro ritmo… Lo stile del primo volume di questa specifica saga è quello della mente che ricorda e del cuore che ferma nel tempo le immagini in fuga di indvidui e comunità che ridevano, gioivano, piangevano, amavano nel tempo e con il tempo e che ora restano incastonati soltanto nel mormorio del vento tanto impassibile e indifferente allo scorrere caduco della vita umana quanto immortale…
È vivido e intenso quanto lo è la consapevolezza dolente dell’oblio che inghiotte “le epoche eroiche di coloro che ci hanno preceduto e connesso per sempre al senso delle nostre radici”. È Gattopardiano quanto lo è l’appartenenza per diritto di nascita allo stesso Meridione tanto complesso, sottomesso, mediterraneo, rassegnato e… “in ginocchio” quanto grandioso. È verista quanto lo sono la rispondenza dei temi trattati, dei personaggi e della “roba” in cui sudano, faticano, cantano, piangono e pregano; quanto lo è la tenacia con cui trasformano le siccità in linfe vitali e quanto lo sono le atmosfere che incombono sulle albe e sui crepuscoli che fanno da sfondo ai casolari avvolti dalle brume o dalle nevicate solenni senza suoni di un passato non tramandato.
Di questo libro Canaris ha scritto: «Bruna Spagnuolo si fa cantore omerico di un mondo perduto; sviscera i risvolti e i tormenti dell’animo umano come un Alfredo Oriani illuminato; mostra una sensuale plasticità descrittiva che fa pensare a un D’Annunzio privo di languore e di decadimento e a un senso verghiano della “roba” consono a un mondo mediterraneo dal diverso bagaglio culturale; appone tasselli per narrazioni a venire a livello di un Clancy; crea l’epicità dilagante di un Guild; canta principi d’amore “sale della terra”; si fa attore di un fatalismo e d’una ineluttabilità mediterranea che nulla ha da invidiare a un Lampedusa…»

A chi è rivolto questo romanzo?
L’avvicendarsi precipitoso di scoperte e di eventi pone l’umanità di oggi di fronte a crocevia innumerevoli e reiterati che nel passato non si sarebbe trovata a fronteggiare neppure tra le pieghe di parecchi millenni. Le civiltà si incontrano, si sovrappongono, si trasformano, si rinnovano e scompaiono con una velocità che in un passato non molto lontano era impensabile.
È necessario, perciò, che gli esseri umani facciano qualcosa per impedire al passato, che contiene la loro identità, di svanire per sempre senza lasciare traccia, nella corsa frenetica dell’era tecnologica impietosamente livellante. Nonostante l’accavallarsi senza posa e il rincorrersi del progresso inarrestabile, i paradossi e i conflitti, che vedono l’uomo ancora vessato dalla mancanza di uguaglianza e di pace, non concedono tregua né serenità.
Può accadere così che popolazioni intere, impegnate sul fronte della sopravvivenza quotidiana, dimentichino di dare risposta al bisogno inconscio di sapere da dove vengono e dove stiano andando, trascurando persino di mettere al sicuro l’eredità morale e storica che appartiene di diritto ai loro figli, ai figli dei loro figli e a tutte le generazioni future. Coloro che avvertono fortemente la responsabilità di tale negligenza, cercano di porvi rimedio, impedendo a una parte identificante del loro universo respirante di scivolare, insalutata e per sempre, tra le spire del tempo.
Solidale con loro, quest’opera immortala un contesto umano e ambientale che è già storia passata, dandogli il supporto dei collegamenti con la sua storia remota e con quella recente. Questo primo volume di Angeli in ginocchio (La saga dei Messapi), permette a chi ha sete di identità e conoscenza di venire a contatto con la scomparsa civiltà contadina a economia familiare delle aree di riferimento e con tutte le usanze, le abitudini e i suoi valori fondanti (identità umana storica imprescindibile dalla storia umana globale).

Come e perché nasce S.O.S. ROOTS?
Da www.sosroots.it “il manifesto” di S.O.S. ROOTS -sos human identities: «Il gap tra l’interruzione del passaggio del sapere di generazione in generazione e il tempo presente si è spinto oltre i livelli di guardia, così che, quando questa civiltà dei consumi si schianterà e le nuove generazioni dovranno ripartire da zero, come gli antenati, le conoscenze non tramandate saranno la tragedia peggiore. Occorre darsi da fare come api operose e tramandare la conoscenza del passato finché si è in tempo. Bisogna insegnare alle nuove generazioni, con urgenza, come sopravvivere in assenza (speriamo soltanto eventuale) del cellulare, della luce elettrica e di dolcini, dolcetti, lussi, comodità e cibo a volontà “dovuti”, scontati e materializzati come per magia. Urge far sapere ai giovani e ai bambini almeno come vivevano i genitori dei nonni e dei bisnonni e quali erano i binari che ne guidavano la vita materiale e spirituale.»/ «Chi ne è consapevole non può che sentirsi schiacciato da un senso di impotenza e dirsi che un singolo individuo non può cambiare nulla. Una frase di Gandhi, però, dice l’esatto contrario: “Be the change you want to see in the world” /”Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. È la ragione della nascita di S.O.S. ROOTS; è come un pugno in pieno petto, stordisce e porta a domandarsi: “Come posso essere io tale cambiamento?” La risposta del singolo piccolo individuo disorientato può essere: “Il nulla e un poco che io sono è meno di un granello di sabbia, nel grande universo, ma… nulla vieta che la briciola di granello che sono possa dare il contributo proporzionato alla sua dimensione di briciola”. Papa Giovanni XXIII diceva, infatti: “Fate il poco che potete e lasciate il resto a Dio”. L’Immanente Divino Tutto Amore, di cui ogni creatura e l’intero creato sono parte, saprà che uso fare del “nulla e un poco” che il singolo può dare. Saprà che cosa fare anche del nulla e un poco che S.O.S. ROOTS salva raccogliendo le identità perdute che può salvare dall’oblio, promuovendo una narrativa di nuova generazione, che si faccia cassaforte di coloro che sono le radici dimenticate delle generazioni attuali e di quelle future. Gli obiettivi di S.O.S. ROOTS non sono che l’eco di una vera e propria emergenza planetaria.» /«Bisogna anche dire che la sopraggiunta civiltà mediatica e la nuova situazione mondiale hanno eroso il numero dei lettori di libri e determinato, tra loro, la nascita di una nuova categoria: quella di coloro che sono alla disperata ricerca dei valori e delle identità perduti. Quei lettori sono il target dei libri S.O.S. ROOTS.»

Leggiamo nella sua biografia che ha condotto una vita errabonda e questo ci ha incuriosito parecchio, ci racconti…
Conoscere il mondo dal suo interno- viverci- viaggiare senza filtri e senza guide/ vedere La Muraglia Cinese, la Città Proibita, le Tombe dei Ming, la grande Beijing, il nord cinese delle alture come crani di sabbia compatta e rocciosa e smarrirsi in venti di storia, di arte raffinata antica, di folle senza fine e senza tempo, di ataviche glorie e orizzonti vasti/ passare il Benue river pieno di pericoli preistorici, navigare il Katsina Ala river tra popolazioni libere nude/ incantarsi nell’artigianato e nell’arte grandiosa di Dar Es Salaam e nella dovizia di gioielli in pietre preziose e di arte spettacolare di Blantire/disturbare gli elefanti felici lungo il grande Scile, navigarne il corso come un mare tra i voli che ne affollano le rive e gli ippotami alla pastura- affrontare un’emergenza tra i massi giganteschi del greto del fiume e trovare solidarietà impagabili nella giungla sperduta/ interiorizzare gli interminabili percorsi che portano a Lilongwe/ sentire la plasticità della tensione dietro la nuca, passando per Johannesburg nei tempi “caldi”/immergersi nella Gran Sabana o nel parco della Kanaima/ evitare di sparire nei dedali di certi mercati tipo casba/ vivere in loco l’arresto e l’assassinio del presidente Ali Bhutto, che amava il popolo e ne era riamato/studiare urdu e avvolgersi in veli, nel cuore dell’Islam/ vedere Karachi- Pindi- Islamabad- Lahore da insider e scoprirne antichità insospettate- trovare le vestigia harappane e cercare le orme di Alessandro il Grande/ subire il fascino delle montagne più alte del mondo e ammirare artigiani che ne incastonano gli smeraldi in oro puro/ scoprire ad Haiti il primo approdo di Colombo e seguirne le orme fino al suo castello in Hispaniola- dove ci sono rovine e monumenti straordinari e non soltanto spiagge bianche senza fine e il festival del merengue/ attraversare i tragitti angusti e sconosciuti dell’interno di Haiti e risalire le sue impervie alture, tra coraggiosi arbre à pain e arbusti del caffè, fin dove le auto sembrano cremagliere e cedono il passo agli asinelli miti, per raggiungere la citadelle du roi Christophe, che ancora attende l’attacco di Napoleone con grandi cannoni e provviste di pesanti palle di metallo/ attraversare la pianura del Cul-de-sac, tra piante grasse e cactus alti come betulle, per consultare il ministero dell’Agricoltura/ salire e salire quasi fino al cielo per visitare i lamasery e scoprire che l’aria rarefatta unita all’odore di burro di yak degli ncredibili templi porta nausea e mal di testa e adombra l’esperienza irripetibile di monumenti inesistenti altrove, di tetti a pagoda leggeri come trine ricamate e di ruote da far girare per preghiere sortilegi numerosi e svelti più di quanto la mente umana possa recitare/ vedere i luoghi in cui Salgari ha immaginato le gesta della Tigre Della Malesia, con arte a 360° e artisti che dipingono in pubblico a mano libera i batik più belli del mondo/ fermarsi là dove Mar Nero, Corno d’oro e Bosforo s’incontrano e capire perché Bizas ebbe a dire che soltanto i ciechi avevano potuto oltrepassare quella terra senza stanziarvisi- sentire altre terre come estensione della patria natia/ sfogliare il cuore in luoghi, orizzonti, popoli e case- tante case, più di quante altri esseri umani ne abbiano mai abitato…/ ospitare nella mente luoghi- luoghi- luoghi e ricordi belli come oggetti introvabili preziosi e come un giro al mercato della seta e gli acquisti fatti da regina dei desideri tutti realizzati.// Questo e… molto, molto, molto di più si affolla nella città dei ricordi e tutto porta un nome e un nome solo, quello della persona che ha tessuto le scale tra il mondo e i sentieri alla portata dei miei giorni: il mio sposo e mio amato.

Che posto occupano queste esperienze da lei vissute nella saga?
Innanzitutto, devo dire che la paternità di questa saga non è totalmente mia, poiché non è da me che la sua prima scintilla è scaturita. Vari decenni fa, colui che è stato, è e resterà il solo, unico, grande amore della mia vita mi disse: “Scrivi qualcosa che si basi sulla realtà di cui fai parte e che si colleghi alla civiltà messapica. Forse il nostro mondo che scompare ha bisogno di un cantore omerico e gattopardiano come te, per sfuggire all’oblio, e… forse il tuo scrivere ha bisogno del nostro mondo, perché solo scrivendo di ciò che si conosce e si ama si può ineguire la grandezza”.
Ero giovane e immatura. Il mio mondo era intatto e non avevo altro che il dono della scrittura, ammirata, elogiata e premiata sin dai tempi della scuola. Colsi poco o nulla del suo messaggio. Lui che, invece, sentiva con decenni di anticipo i cambiamenti epocali e gli annessi e connessi punti di domanda, già all’inizio degli anni Settanta approfittava del ritorno estivo in Lucania per andare in giro con la sua Nikkormat professionale a scattare foto in bianco e nero, per una sua raccolta che intitolava “Usi e costumi in estinzione”.
È stato lui che ha incartato il mondo nel suo amore e me ne ha fatto dono, permettendomi di svolgere ricerche e di fare safari (non soltanto in luoghi come il Serengeti ma nel senso swahili di “viaggio”) a tutto tondo, fuori, nelle dimensioni geografiche e umane di incredibili luoghi mondiali, e dentro di me. È stato in Pakistan, sulle rive leggendarie dell’Indus river, che ho concepito la prima idea delle interessenze imprevedibili tra assonanze glottologiche e radici antropologiche umane. Il soggiorno in Turchia, lo studio della lingua turca e della letteratura popolare turca hanno poi consolidato quella prima percezione e determinato i successivi sopralluoghi e la nascita del saggio “Una leggenda chiamataSarmento” sponsorizzato e distribuito dalla Regione Basilicata (che racchiude la bibliografia su cui si basano il sottotitolo di “Angela” e la ragion d’essere delle eroine protostoriche e delle loro realtà sospese tra storia, leggenda e geografia geomorfologica e umana della sezione due e quattro della saga).
Tra gli spostamenti miei, da autrice, nelle latitudini più svariate e incredibili del mondo, la nascita della prima bozza della saga e il suo sviluppo nel tempo non pare esserci corrispondenza, fino a un certo punto. Ho cominciato a scriverla su una typewriter antidiluviana africana con alfabeto limitato e tasti difettosi. Portavo avanti il mio viaggio nei ricordi e nelle mappe mentali dei sopralluoghi e procedevo nella creazione della versione immortale di una realtà italiana in estinzione, mentre il mio corpo esperimentava le escursioni termiche dell’altopiano tanzaniano, imparava a distinguere le varie tribù, a conoscerne le usanze e la lingua e a interagire con le realtà locali. Scrivevo della mia terra, delle origini delle sue genti e dei loro valori fondanti e intanto interiorizzavo le interessenze di altre genti, ne condividevo il presente e ne immagazzinavo la storia, le storie, le usanze e le tragedie. Imparare a riconoscere le terraglie bianche, marroni e nere e a scolpirle in vasi e altre forme con le donne della tribù Jaluo o andare nel villaggio a impedire che squarciassero le gengive a un neonato e nel privato scrivere il primo volume della saga trovava collocazione nella poliedricità con cui cervello e inconscio gestiscono azioni, sensazioni e pensieri completamente diversi e lontani tra loro. C’è un particolare, però, che ho sottovalutato e, anzi, travisato, fin qui: non avevo, a quel tempo, concepito ancora l’idea dell’intera saga. Mi rendo conto, soltanto ora e per merito delle domande acute, intelligenti e profonde di questa intervista, che il romanzo iniziale si è ammantato di percezioni, atmosfere e… presenze che non erano lì prima. È stata la Troade a materializzarle. Le rovine di Troia sono state determinanti. La parte di esse che è riferibile all’incendio di omerica memoria mi è entrata nella mente come una ventata quasi ingestibile di sensazioni e percezioni, che ho accantonato a lungo, come un tarlo fastidioso domato fino a quando il Museo della Siritide di Policoro non lo ha rimesso in libertà e reso ancor più invadente. I ritrovamenti enotri in Val sarmento e nel Comune di Noepoli e nella valle del Sinni hanno poi fatto il resto. È stato allora che Angeli in ginocchio è cresciuto e ha subito le metamorfosi che lo hanno reso la saga in quattro volumi che è oggi e che storicizza, nel primo volume, ciò che le genti e i luoghi di riferimento erano dal Novecento al Duemila; nel secondo e quarto volume, dà corpo a ciò che erano stati in due stadi vicini della protostoria; nel terzo volume, si fa eco del grido e del tormento con cui li percepisce una loro erede proiettata verso il terzo millennio.

Angeli in ginocchio – La saga del popolo messapico. Angela – Gli eredi dei Messapi, Edizioni S.O.S. ROOTS

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