“Funambolico, intimo, struggente” è così che viene definito Il sapore delle ruggine in quarta di copertina. Una storia realmente accaduta dai contorni surreali ambientata negli anni Ottanta, all’interno della quale si intesse un’ulteriore storia che stavolta però ci riporta agli avvenimenti degli inizi del ‘900 le cui ombre arrivano fino ad oggi. Siamo felici di parlarne con l’autore Pierpaolo Prastaro.
Proviamo ad inquadrare libro; ci dica, c’è un confine tra fatti realmente accaduti e invenzione narrativa?
A dire la verità, no. Nel senso che in tutte e tre le parti del libro ho fuso avvenimenti realmente accaduti, personaggi esistiti o ancora esistenti con una finzione narrativa coerente, con funzione di collante e filo logico per le loro azioni. Non ho fatto altro che accendere una telecamera per riprendere momenti storici, ricordi autobiografici, vite vissute da altri personaggi che ho conosciuto e un telespettatore sonnolento facesse zapping per non annoiarsi. Ma alla fine si rendesse conto che mutano le epoche, gli stili e i contesti, ma le situazioni del passato si ripresentano come se il tempo scorresse inutilmente facendo apparentemente cambiare tutto, ma in realtà non cambi nulla. Se negli anni Dieci del Novecento, ad una ragazza di buona famiglia veniva vietato di innamorarsi del figlio di un contadino, negli anni Ottanta una madre di sinistra non accetta il figlio di un carabiniere come fidanzato della figlia e negli anni Duemila un giovane italiano si trova ancora a remare contro i pregiudizi tra etnia italiana e sudtirolese per poter sposare una bellissima altoatesina.
Certo, la storia inizia da un diario effettivamente ritrovato nella casa abbandonata di cui si parla e i personaggi che ne scaturiscono sono reali e quindi per scrivere di loro, ho dovuto documentarmi storiograficamente negli archivi della Biblioteca Comunale di Trento e poi sulla base del profilo personale che ne ho ricostruito, immaginarmi le azioni, i passaggi fondamentali che hanno scandito la loro vita e persino i pensieri che devono aver avuto in alcuni frangenti. Questo non è stato facile, soprattutto perché non ho voluto lasciare nulla al caso, cercando di ricostruire più fedelmente possibile il loro vissuto e innestarlo su una storia d’invenzione che avesse una certa coerenza narrativa.
Lei è un autore esordiente e ci incuriosisce parecchio la sua affermazione – “un libro che non potevo fare a meno di scrivere”. Perché?
Perché negli anni Ottanta, quel diario lo ho effettivamente trovato in quella villa abbandonata e venti anni dopo, l’incontro fortuito con il vecchio ex marito della bambina di cui si parla nel diario, è realmente accaduto. Coincidenze? – Le coincidenze non esistono – titola l’ultimo capitolo. Scrivere questa storia allora, ha rappresentato per me un atto dovuto nei confronti di quella ragazza e di quel ragazzo che, in una Trento di inizio secolo, sfidarono le convenzioni sociali e imposero il loro amore contro la volontà degli adulti. Non solo, ma servirà spero anche a soddisfare la curiosità dei trentini che si chiedono da anni quale sia stata la verità su tutte le proprietà in decadenza della famiglia di cui si parla, sparse per la città e spesso nascoste alla vista dal muro sbiadito del tempo.
– Illuso, romantico e fesso… – citando Ivan Graziani.
Pierpaolo Prastaro, ci racconti un po’ di lei.
Sono nato a Trento da genitori non trentini e ho vissuto i primi vent’anni della mia vita in un dualismo culturale, una specie di moderno Italo Svevo. Amo il trentino e la sua cultura, mi sono laureato con una tesi in Geografia culturale proprio sulla mia regione, ma non sono di cultura puramente trentina e questo credo di ribadirlo anche nel libro, attraverso il significato riflesso delle citazioni di personaggi italiani a trecentosessanta gradi. Al di là di questo, vivo letteralmente nutrendomi di musica e di cinema di qualità, e anche questo credo sia abbastanza evidente in quello che scrivo. Paradossalmente leggo poca narrativa, forse per paura di essere influenzato dalle intuizioni letterarie degli altri. Ho già troppi problemi a mettere in riga tutte le idee che mi passano per la mente. Sono arrivato molto tardi alla scrittura creativa, ma conto di recuperare velocemente il tempo perso. Attualmente sto lavorando al mio secondo romanzo e ad una serie di brevi racconti-spot che ho temporaneamente chiamato – racconti indecenti -, incentrati sui drammi socio-esistenziali che si compiono tutti i giorni ovunque nel mondo e anche sotto i nostri occhi. Da docente di Geografia, è un modo per far viaggiare le persone non soltanto nei luoghi turistici noti del pianeta, ma anche dietro gli angoli reconditi e spesso taciuti delle realtà di chi li abita.
Unitamente alla storia in sé, che messaggio vuole consegnare ai lettori?
Come scrivevo prima, il primo messaggio è quello che le diversità culturali devono renderci l’- altro-, – il diverso – interessante. Esse devono risultare attraenti peculiarità da comprendere e apprezzare e non fattori di timorosa repulsione. Stefano si innamora follemente della – R – moscia da altoatesina di Lotte e del suo essere così tirolese dentro. Di messaggi poi, credo di averne consegnati diversi altri ai personaggi. Il coraggio di rompere gli schemi, la ribellione contro le volontà prevaricanti e i preconcetti, la voglia di combattere per un ideale, anche se questo può mettere in difficoltà la tua carriera. Per i più giovani, quello di non correre in auto il sabato notte con gli amici a bordo e che quando incontrano un disgraziato che vive per strada, dovrebbero riflettere sul fatto che dietro la sua logora esistenza può esserci stata una vita non molto diversa dalla loro, che per mille motivi ha preso una strada difficile, ma che non per questo egli sia una non-persona da attraversare con lo sguardo. O peggio. E mi vengono in mente i recenti casi di maltrattamenti e sevizie perpetrati da giovanissimi a carico di borderlines.
Per ultimo, un messaggio che riguarda la rivalutazione del passato. Ogni anziano che incontriamo ha vissuto in un mondo diverso dal nostro, spesso molto più difficile e dove ha combattuto per affermare diritti di base che oggi sembrano scontati. Qualcuno che magari, utilmente o meno, si è fatto ammazzare per un ideale o ha subito ingiustizie a causa della morale dei tempi in cui viveva. Guardiamo chi ha vissuto molto prima di noi con occhi diversi e non come personaggi di un film vecchio e dimenticato, visti e rivisti decine di volte, perché dalle loro vite possiamo ancora imparare molto.
A proposito di messaggi – Hugo Pratt, Totò, Alberto Sordi, Franco Battiato, Mozart, John Belushi, Nietzsche, Manzoni… che funzione hanno i riferimenti a questi artisti all’interno del romanzo?
Qui devo fare un po’ il professore. Il modo di concepire la realtà che racconto è basato sulla visualizzazione di vere e proprie immagini narrative frutto di concetti visuali tratti da scene di film, profili caratteriali di personaggi della letteratura o centrali in testi di canzoni, ai quali associo i caratteri dei miei protagonisti o il significato e l’atmosfera delle situazioni, come la colonna sonora di un film. I riferimenti quindi divengono funzionali alla narrazione e parte integrante della stessa. E’ ad esempio ricordando lo stato d’animo che suscitò in me da bambino la lettura di – Veglia – di Ungaretti, che ho immaginato come dovesse apparire al piccolo Ciccio, il volto del vecchio pastore friulano morto nella baracca e per questo la citazione della poesia si innesta alla perfezione sulla descrizione di quella figura morta. L’intento è di coinvolgere il lettore in una dimensione che oltrepassi la bidimensionalità delle parole, facendo divenire il racconto un luogo dinamico animato di sensazioni, stati d’animo e punti d’osservazione frutto dell’integrazione tra significato e significante delle opere citate, e il contesto narrativo in cui vengono inserite. L’obbiettivo è creare un secondo e tridimensionale piano di lettura, dove ognuno percepisca diversamente il senso delle parole lette, a seconda del grado di conoscenza della citazione che le precede o che le succede e allo stato d’animo in cui queste citazioni pongono il lettore.
Vi faccio un altro esempio. Nella frase: – A volte Franz parlava strano e io quasi non lo capivo. Quello che diceva non lo condividevo, ma sapevo che non era poi così cattivo -, pronunciata dal protagonista della prima parte del libro a proposito del suo migliore amico, i lettori più attenti possono chiaramente cogliere la citazione del testo della canzone – Pablo – di De Gregori. Un testo che se analizzato, tra le altre cose parla del rapporto tra due amici/colleghi diversi tra loro, che condividono una parte della loro vita sostenendosi a vicenda. E per quanto il primo non approvi pienamente il punto di vista del secondo, in parte lo ammira ma non può che presagire nella sfrontatezza delle sue azioni i prodromi del futuro che il destino ha scelto per lui, e cioè la morte. E infatti la morte sarà anche il destino di Franz, l’amico del protagonista Stefano Raspadori, e di cui il protagonista stesso sarà l’ignaro artefice. Subito dopo il testo prosegue con: – Mi accesi un’altra sigaretta(…) – continuando sull’onda delle citazioni degregoriane con un accenno al testo di – Alice – e sciogliendo in un battito di ciglia spesse di rimmel, la tensione che permea la scena.
Un altro esempio molto forte di cambiamento di prospettiva dovuto ad una citazione, è nel titolo del quinto capitolo della terza parte – Das finstere Tal -. Se il lettore guardasse il film (Il cavaliere della valle oscura) o leggesse il libro omonimi, dopo aver letto il capitolo in questione, il finale del romanzo cambierebbe drasticamente. Insomma, quando immagino una – scena -, non posso fare a meno di associarla a qualcosa che sopisce nella mia memoria, una sequenza di un film, l’ermetismo di una striscia di Pratt, un ritornello di Battiato. La funzione primaria delle citazioni è quindi di traghettare il lettore all’interno dei quadri narrativi che ho predisposto, ponendolo nelle condizioni di immaginarsi il volto di un personaggio, la sua voce, il suo modo di essere, semplicemente associandolo a colui al quale è ispirato. L’idea era quella di mettere chi legge nelle condizioni di pensare a ciò che sta succedendo o che sta per succedere, come alla realizzazione di un concetto espresso da un filosofo, piuttosto che da un attore comico. Volevo ricreare il contesto emotivo di un preciso istante in cui si sta verificando qualcosa, associandolo alle sensazioni che si provano ascoltando un brano o divertendosi a crepapelle con Sordi o Belushi. Ad esempio, per descrivere le sensazioni che prova Stefano quando si ritrova solo e abbandonato da Lotte, ho ascoltato continuamente per un giorno intero – Come to me – e – Ask the mountains – di Vangelis, lasciando che agissero su di me e ripescando nei miei ricordi personali. Nel frattempo bevevo Lagavullin e scrivevo quel capitolo, includendone poi nel racconto il testo dei due brani. Come un attore che studi la parte e si immedesimi nel personaggio che deve far vivere, a tal punto da confondersi pirandellianamente con lui e non sapere più se le cose che pensa le ha vissute lui stesso o il suo personaggio.
Ma certamente non tutti possono conoscere quel testo, quel film, quella poesia o quell’enunciato. La domanda che mi sono posto allora moltissime volte è stata: – penseranno che voglia fare sfoggio di conoscenza scolastica? – La risposta è no, nella maniera più assoluta. Anzi la mia speranza è che leggendo il libro, a qualcuno venga la voglia di andarsi a leggere (o rileggere) il testo di un brano, un’avventura di Corto Maltese o un’opera di tutti quelli che mi hanno fatto innamorare della musica, della filosofia e del cinema e che ne rimangano folgorati anche loro.
Certo che ne potrebbe venire fuori un gioco, una caccia al tesoro costellata di rimandi culturali! Qual è il motivo che l’ha spinta ad inserirne così tanti?
Caccia al tesoro culturale? Certo! Perchè no? Sono sicuro che parecchi lettori curiosi si divertiranno a scovare dialoghi tratti da – Blade Runner – in un romanzo a sfondo storico! Scherzi a parte, come ho detto precedentemente, in questo lavoro ho cercato di intrecciare un tessuto meta-narrativo che andasse oltre i puri fatti raccontati. Volevo che il lettore venisse ammaliato da riferimenti culturali non sempre evidenti, a volte seminascosti sotto un lembo di coperta, al punto da andarseli a cercare interrompendo la lettura. Non avevo intenzione di scrivere un libro da leggere tutto d’un fiato, e sapevo bene che parlare oggi tra le altre cose di Cesare Battisti, irredentismo e Prima guerra mondiale, rischia di far etichettare immediatamente il lavoro confinandolo in un ambito letterario che non gli appartiene. Ho pensato a qualcosa di diverso, innovativo forse (qualcuno presumo abbia già fatto una cosa del genere), un vero e proprio viaggio nella cultura attraverso un romanzo nel romanzo, fatto con collage di ritagli di altissimo valore. In questo senso, in tutta onestà sento di aver sfruttato la grandezza delle opere citate per un mio tornaconto personale, permettendo loro di divenire un’appendice narrativa della mia immaginazione, e quindi, con il dovuto rispetto, approfitto per ringraziare sentitamente tutti quelli che ho citato. Ma le citazioni non sono solo di argomento artistico. Ho raccontato di fatti politici di cui forse pochi ricordano, soprattutto per non dimenticare la follia che ha portato al terrorismo di matrice altoatesina e le sue vittime. E poi, qualcuno che lo ha letto mi ha chiesto: – ma perché parlare proprio di Vermicino? – E’ molto semplice. Mentre scrivevo mi trovavo in Irlanda e alla radio era giunta una notizia terrificante dalla Spagna, dove era successa una cosa terribile che non ero riuscito a tenere fuori dalla mia testa. Un bimbo di due anni e mezzo era caduto in un pozzo molto stretto e profondo. La notizia mi aveva toccato a tal punto che non ho potuto fare a meno di metabolizzarla inserendola in una frase liberamente ispirata a: – Il pozzo e il pendolo – di Edgar Allan Poe.
Altri lettori mi hanno fatto notare che forse pochi coglieranno le citazioni meno esplicite, e io ho risposto che me ne assumo il rischio e che non ho scritto il libro per vendere copie.
Se dovesse aggiungere un sottotitolo al libro quale sarebbe?
Dopo la fatica immane di trovargli un titolo, dovrei anche scervellarmi per un sottotitolo?
I sottotitoli servono agli editori. Oramai un libro senza sottotitolo è come uno spot televisivo muto, una serie tv senza trailer.
Ma ve lo immaginate, – Uomini e topi – con un sottotitolo? Con le debite distanze, s’intende.
Non possiamo far altro che concludere invitandovi non solo a leggerlo, ma a rileggerlo perché ogni volta vi sorprenderete a scoprire nuove sfumature, nuovi aspetti e nuovi punti di vista che potrebbero addirittura cambiare il finale del romanzo.
Il sapore della ruggine di Pierpaolo Prastaro, Edizioni del Faro.
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