Gianluca Baggio esce in questi giorni con “Sotterranei di velluto”, la sua settima pubblicazione, per raccontarci di sé, della lotta che giorno per giorno affronta tra mente e corpo. Il libro, reperibile su Amazon, raccoglie poesie e racconti dal forte impatto emotivo perché capaci di esprimere tormenti e gioie con egual passione.
Gianluca Baggio, partiamo dalla quarta di copertina dove vi è scritto che vuoi lasciare un segno del tuo passaggio attraverso la potenza delle tue parole. Spiegaci.
Il mio forse è un pensiero egocentrico o forse semplicemente la volontà di dare un senso più profondo alla mia esistenza, lasciare un’eredità morale, spirituale alle mie figlie e alle persone che amo. Un bisogno divenuto più urgente davanti alla consapevolezza delle mie malattie. Una rivalsa col destino.
Nel tuo libro alterni racconti e poesie. Da dove nasce questa scelta?
Direi dal mio anticonformismo. Sono sempre stato sopra le righe, nel bene e nel male, non so stare nei bordi, mi piace osare, mescolare. Lo faccio nei miei dipinti, dove uso materiali, tecniche e colori diversi, ho voluto applicarlo anche alle mie parole. E’ sempre un po’ figlio del mio dualismo, della mia voglia di spezzare il ritmo naturale delle cose nel tentativo di creare un mio tempo, un mio spazio, una mia dimensione.
Cosa vuoi evocare con il titolo del libro “Sotterranei di velluto”?
La dicotomia della vita che è spesso ossimorica. Il buio e l’incognito del sotterraneo alleggerito dalla morbidezza carezzevole del velluto. D’altronde la vita stessa è così, un’altalena di splendore e orrore.
Che relazione hai con la tua malattia?
Prismatica direi… sfaccettata e a seconda della luce d’umore che colpisce la faccia del prisma. Ho giorni di grande buio e sconforto, legato soprattutto al dolore fisico, alla fatica spossante che mi opprime, alla rabbia che accompagna il malessere cronico. Altre volte, spronato dalla terapia nella quale mi impegno al massimo e dall’amore di chi mi è accanto, la luce attraversa il prisma rendendo tutto un po’ più colorato. L’aspetto più complesso è però quello legato all’incertezza delle malattie degenerative, sai di essere una bomba ad orologeria ma senza timer, la diagnosi è certa, il decorso no e questo destabilizza.
A cosa è riconducibile la scelta di iniziare le poesie sempre con la lettera minuscola?
Perché niente è inizio, tutto è parte di un pensiero, dell’anima. Non ci sono inizio e fine ma un flusso di vita attraverso le parole che hanno tutte pari peso.
Nell’episodio podcast sul tuo libro si dice che sei stato ‘un buono con la nomea di cattivo ragazzo’. Per quale motivo sei stato definito così?
Perché nella mia vita ho fatto degli errori, mi sono spesso autocondannato all’esilio per fuggire da un mondo che non mi apparteneva e per nascondermi anche a me stesso, perché ho spesso superato i limiti facendo e facendomi del male e precludendomi delle occasioni, ma al contempo ho sempre difeso i più deboli, ho sempre lottato per le giuste cause, ho sempre amato profondamento e agito verso gli altri con molta più generosità che verso me stesso.
Chi sono gli autori che prediligi, che ti hanno arricchito e lasciato un segno?
Baudelaire, il mio compagno dell’adolescenza, il suo mal di vivere, la sua cupa consapevolezza, la maestria del suo trascinarti nel mondo delle emozioni più pure e tenebrose con il suo verso libero, ispirazione del decadentismo ottocentesco. Hemingway con la sua narrativa asciutta caratterizzata da una continua sfida alla morte che ne ha caratterizzato l’esistenza. Kerouac, padre della beat generation narratore del disagio e onesto descrittore delle ipocrisie umane e politiche, Bukowski con la sua dissacrante irriverenza, ma sono solo alcuni dei punti cardiali della mia rosa dei venti che si è spesso diretta anche verso la filosofia, con Schopenhauer come principale riferimento delle mie riflessioni esistenziali.
Oltre a scrivere, Gianluca Baggio dipinge. Vuoi parlarci dei tuoi quadri?
Come accennavo prima anche i miei dipinti sono un crogiuolo di tecniche, colori, materiali. Fondamentalmente ci sono due filoni che fino ad ora hanno caratterizzato le mie opere, uno è quello dell’espressione astratta, istintiva, di pulsione. L’altro invece è un tentativo di fermare il tempo, cristallizzando attraverso un processo specifico delle rose che poi elaboro con colori, cementi, foglie d’oro, materiali di recupero, per poi conservarle in una teca di plexiglass dove lo scorrere della natura si incontra con la necessità di vivere per sempre il presente.
Cos’è per te l’arte?
Emozione pura. Entrare mano nella mano con mia moglie all’Orangerie di Parigi e commuoverci davanti alle ninfee di Monet. Un mezzo che parla a pancia, cuore, sensi, cervello. Che stimola, arricchisce, dona un senso alle cose, alla vita.
Hai praticato sport ad alti livelli; ti va di raccontarci questa esperienza?
Lo sport a livello agonistico è adrenalina, spirito di squadra e assieme voglia di dimostrare la propria forza, fisica e di volontà. Lo sport per me è stato uno strumento di affermazione in un mondo dove non trovavo una mia dimensione, ma al contempo è stato una pressione in cui non riuscivo a far emergere il meglio di me. Oggi per me dipingere, scrivere, esprimermi sono il mio esercizio per mente e corpo, sono la mia adrenalina e la mia gioa della vittoria, per me stesso e su me stesso.
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