Intervista a Clambagio

Intervista a Clambagio

Siamo lieti di avere l’opportunità di intervistare Clambagio, noto scrittore il cui sesto romanzo, “IRONTA – pazzo per Victor”, ha catturato l’attenzione del pubblico e della critica letteraria. Clambagio, pseudonimo che racchiude i suoi quattro nomi di battesimo, ha già una solida carriera letteraria alle spalle con opere sempre caratterizzate da una narrazione dialogica coinvolgente e temi universali che spesso riflettono le sfide e le contraddizioni della società contemporanea.

“IRONTA – pazzo per Victor” è un romanzo che affronta temi complessi come l’arte, la verità e la finzione, intrecciando le vite dei suoi personaggi con maestria narrativa. Con una trama che si snoda tra il presente e il passato, tra la realtà e l’illusione, il libro promette di offrire al lettore una profonda riflessione sulla natura umana e sul potere dell’arte.

Nell’intervista che segue, Clambagio ci guiderà attraverso il processo creativo dietro il suo ultimo romanzo, condividendo le sue ispirazioni, le sfide affrontate e le speranze per il futuro della sua carriera letteraria.

Qual è il ruolo dell’arte e dell’illusione nella storia di “IRONTA – pazzo per Victor”?
L’arte e le illusioni visive dei quadri optical di Victor Vasarely hanno un ruolo predominante nella storia di IRONTA. Nel romanzo il protagonista, Costantino Morelli, racconta a suo nipote Amedeo la sua ammirazione per Victor Vasarely, padre della Optical Art, nonché le sue esperienze negative nel mondo dell’arte che hanno instillato in lui un sentimento di disillusione.

Ci parla del processo creativo di sviluppo dei personaggi principali, come Morelli, Artemisia Vettori e il nipote Amedeo?
Questi tre protagonisti, come altri dei miei romanzi, sono di pura fantasia.  Un bel giorno, inaspettatamente, bussano alla mia porta. Io li faccio entrare, vivere, crescere, a volte morire. Ma il vero protagonista è Victor Vasarely.  È da lui che ho tratto l’ispirazione per scrivere il romanzo.

Qual è stata la sua ricerca riguardo alla Op Art e all’arte contemporanea per integrarle nel contesto del romanzo?
Non c’è stata ricerca. Quello che ho scritto lo sapevo da tempo. Sono un appassionato di arte moderna cosiddetta post-war e ho scritto dei saggi su Victor Vasarely e sull’Optical Art.

Quali messaggi o riflessioni spera che i lettori traggano dalla lettura di “IRONTA – pazzo per Victor”?
Nessun messaggio. Riflessioni, sì. Come ho scritto nel romanzo, l’arte, e non solo quella letteraria, ha anche la funzione di porre delle domande, di denudare certe situazioni. Nel caso di IRONTA il tema dominante è quello della falsità, della contraffazione, dell’inganno. Cosa è vero? Cosa è falso? Nel mio libro denuncio le falsità sempre più estese e manifeste della nostra società contemporanea partendo dalle mistificazioni dell’arte pittorica e dalle illusioni ottiche delle opere di Victor Vasarely.

Ha dovuto affrontare delle sfide particolari nel trattare argomenti complessi come la verità e la finzione nell’arte e nella vita?
Per l’arte, no. Nel dialogo tra nonno e nipote su temi filosofici come verità e realtà mi sono documentato a fondo.

Come ha scelto il titolo “IRONTA – pazzo per Victor”? Qual è il suo significato e il suo legame con la trama del libro?
IRONTA è il primo quadro che il protagonista Morelli vede a una fiera dell’arte. Ne rimane folgorato al punto da innamorarsi del suo autore, Victor Vasarely. Così si spiega il titolo: IRONTA – pazzo per Victor.

C’è un personaggio o un momento nel romanzo che le è particolarmente caro? Perché?
Il personaggio è Denise René, la più grande gallerista del dopoguerra, che il protagonista Morelli ha la fortuna di incontrare. Il momento del romanzo che mi è particolarmente caro è il culmine della disperazione di Morelli, che lo porta al tentato suicidio. Penso di aver descritto bene il suo stato d’animo.

Ha avuto dei modelli letterari o artistici che l’hanno ispirata durante la scrittura di questo romanzo?
No. Questa miscela tra romanzo d’azione e saggio breve-artistico e filosofico è nato e si è sviluppato spontaneamente, senza che ne avessi avuto, almeno inizialmente, contezza.

Ha avuto qualche difficoltà particolare durante la stesura di questo libro?
Non più di tanto. Essendo una via di mezzo tra un saggio e un romanzo, ho cercato di marginalizzare il taglio saggistico/didattico insito nel racconto. Un altro problema che ho risolto è stato quello del finale, che ho reso criptico con una domanda, come piace a me, che adoro i giochi di parole, i calembour, i rebus. Chissà quanti, leggendola, la capiranno.

La narrazione dialogica è un elemento distintivo della sua scrittura. Può spiegarci il motivo di questa scelta e come pensa che influenzi la fruizione del suo romanzo?
Non è stata una scelta. Questo è il mio stile narrativo, che si può prestare a una sceneggiatura filmica o teatrale. Quando scrivo i miei romanzi, “vedo” le situazioni e i personaggi, scrivo la storia come se qualcuno me la raccontasse. Prediligo le narrazioni dialogiche per la loro agilità e fluidità nell’esprimere concetti e situazioni e che perciò spesso diventano dei veri e propri page-turner.

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