È già nelle librerie, fisiche e online, l’audace romanzo autobiografico di Corrado Fabbri, “Lord Kelly – Il ladro d’informazioni” che abbina il racconto coraggioso e avvincente di una vita avventurosamente vissuta oltre i confini della legalità alle sorprendenti rivelazioni sui metodi e sulle raffinate tecniche utilizzate in prima persona per violare i sistemi informatici più inaccessibili.
Abbiamo il piacere di fare due chiacchiere con Corrado Fabbri.
Come e quando ha scoperto questa sua propensione informatica e perché ha deciso di sfruttarla in questa direzione?
Fin dall’infanzia ho avuto il pallino delle tecnologie. Mi piaceva e mi piace avere a che fare con le macchine e smanettare. Ho scoperto la mia passione per la tecnologia e l’elettronica fin dalle scuole medie. Barattai alcune macchinine con un Commodore 64. Negli anni in cui frequentavo l’Itis a Bologna, ero già padrone dei linguaggi e dei sistemi di programmazione dei primi computer. Seduto davanti a un computer tutto mi sembra facile. All’inizio lo consideravo un gioco, una passione, mai avrei immaginato cosa sarebbe successo. A portarmi a fare ciò che racconto nel libro è stata la vita. O meglio, l’assurdità del sistema in cui viviamo. Un sistema marcio che giorno dopo giorno mi ha spinto a fidarmi più delle macchine che degli esseri umani. È assurdo, per esempio, che per poter fare qualcosa devi per forza aver già fatto qualcosa o possedere fortune. Il momento decisivo fu quando a 26 anni, volendo aprire un’azienda, mi rivolsi a una banca per chiedere un prestito, ma non me lo concessero perché non possedevo nulla. Così, violai i sistemi di Camera di commercio e catasto, facendo risultare intestati a mio nome beni per 200 milioni di lire. E ottenni il prestito. Da allora, la soddisfazione, il brivido del pericolo, il senso di sfida e la sensazione elettrizzante di superare gli avversari in astuzia, hanno fatto il resto e mi hanno portato ad affinare sempre più le mie abilità. Non solo sul fronte dell’informatica (mi sono laureato in Information Technology all’università di Miami) ma anche nel campo delle tecniche di manipolazione e persuasione. Ho ottenuto accesso non autorizzato ai sistemi informatici di alcune tra le più grandi aziende del pianeta, e mi sono infiltrato con successo nei sistemi più inaccessibili mai sviluppati. Ho utilizzato mezzi tecnologici per ottenere informazioni dalle aziende, dalle banche e anche da altri enti e così studiarne la vulnerabilità e il funzionamento interno. A volte mi sono servito del personale delle aziende “aggredite” e di qualche malcapitato interlocutore, manipolato attraverso tecniche di “ingegneria sociale”, per avere accesso alle informazioni di cui avevo bisogno.
Quanto tempo impiegava mediamente per portare a segno un attacco informatico?
Dipende dal tipo di attacco. Alcuni potevano durare poche ore. Altri, invece, potevano richiedere settimane e anche mesi di preparazione. È indispensabile la programmazione, bisogna individuare la stanza dei bottoni, trovare i punti deboli e pianificare l’attacco. A volte è necessario recitare una parte, impadronirsi di ogni sfumatura del personaggio da interpretare e conoscere anche tutto il contorno.
Chi erano i committenti?
Erano aziende, governi, servizi segreti, privati. Insomma, c’era un po’ di tutto. Il lavoro consisteva nel soddisfare le richieste commissionatemi da quei soggetti per “recuperare”, diciamo così, piani commerciali, dati finanziari, software, elenchi di clienti, progetti, ecc… Non ho mai fatto domande: ricevevo la richiesta, la eseguivo, prendevo i soldi e stop.
Per farci un’idea, può dirci il range dei compensi che le corrispondevano per ogni hackeraggio?
Varia molto, da un minimo di poche migliaia di dollari fino a qualche milione di dollari. In un capitolo racconto come una volta mi diedero un milione di dollari per recuperare un piccolo file. In pochi giorni guadagnai ciò che molti non guadagnano in una vita. L’aver violato la legge ha comportato, però, un duro prezzo da pagare. Il rovescio della medaglia sono stati gli oltre ottanta processi che ho subito e le condanne a 15 anni di carcere, poi ridotti a 10 tra indulti e sconti di pena.
Perché ha deciso di scrivere questo libro, cosa l’ha spinta?
L’ho scritto durante la detenzione, tra il 2002 e il 2014. Mi ha spinto la noia… In carcere non hai niente da fare, sei chiuso tra quattro mura per 22 ore al giorno, sovente con gente con cui non si può parlare molto. Così quindi decisi di scrivere. All’inizio era come uno sfogo, stavo seduto al tavolino con un quaderno senza sapere da dove iniziare. Poi, man mano, le cose venivano alla mente: ricordi, situazioni ecc. Ho impiegato quasi dieci anni a scriverlo.
Da dove viene il titolo del libro “Lord Kelly”?
Bella Domanda. Era il soprannome che mi venne appioppato negli anni 90. All’epoca stavo con il mio primo Amore. Non avevamo soldi. Vidi alla televisione la pubblicità di una marca di scarpe per bambini e mi venne un’idea. Chiamai un amico che vendeva scarpe e gli chiesi se interessava un camion di quelle scarpette molto richieste all’epoca. Mi disse di si, cosi “comprai” attraverso un attacco informatico un camion di scarpe e gliele mandai. In cambio di quel favore, il mio amico si sdebitò generosamente. Da lì il mio ex iniziò a chiamarmi Lord Kelly.
Ci parli del suo periodo di detenzione, come l’ha vissuto?
Male, ovviamente. Soprattutto all’inizio. Chi è recluso all’inizio del suo percorso è molto depresso, poi sta a ognuno crearsi un suo ambiente… Io in carcere ho sempre lavorato, grazie alle mie capacità riuscivo a farmi assegnare i lavori migliori: biblioteca, conti correnti, ufficio spesa, ecc… gli istitutori erano contenti per il lavoro svolto e io pure visto che mi mantenevo guadagnando e stavo sempre fuori dalla cella. Non sono mancati i momenti difficili. Sono scappato due volte. Gli anni sono lunghi a passare e quando vedi un fine pena a 15 anni lo sconforto ha il sopravvento. Però ho tenuto sempre viva la speranza. Poi verso la fine attendi solo il giorno dell’uscita.
Nel libro c’è anche una dura requisitoria contro il sistema carcerario italiano, può accennarci qualcosa?
A differenza di altri paesi, l’Italia ha un sistema carcerario marcio. Le carceri per la maggior parte sono fatiscenti, superaffollate e il personale è demotivato. Stai rinchiuso in 9 metri quadri con altre due o tre persone. La cosa peggiore è che il 90% dei carceri non dividono i detenuti per genere di reato, personalità e pene da scontare. Così ragazzini che entrano per un furterello, a contatto con spacciatori, rapinatori, assassini, quando escono diventano a loro volta spacciatori, rapinatori, assassini. In Europa, ahimè, ho conosciuto vari sistemi carcerari. Ma quelli italiano e francese sono i peggiori.
Quando e come è avvenuta la sua “conversione”? E chi desidera ringraziare oggi?
Io non direi che c’è stata una conversione vera e propria… direi che a un certo punto mi sono stancato di scappare sempre. Certo, sono dovuto fuggire dall’Italia perché pur avendo pagato il debito con la giustizia, non ti lasciano più vivere tranquillo. Non devo ringraziare nessuno, solo me stesso… nessuno mi ha mai aiutato, nessuno mi ha mai offerto un’alternativa di lavoro o di vita. Pertanto ciò che sono e ciò che ho, lo devo solo a me stesso.
I soggetti più a rischio che potrebbero intraprendere la strada dell’hacker sono i Nerd? Cosa si sente di dire loro?
No, di solito il Nerd ha paura anche della sua ombra. Sono soggetti fortunati non a rischio. Fortunati perché hanno il dono di saper manipolare i sistemi informatici. La strada per diventare hacker è più complessa e articolata. Spesso passa attraverso vissuti particolari, qualità caratteriali, determinate ideologie o, come nel mio caso, un atteggiamento di rifiuto nei confronti del sistema.
Nel libro scrive che il mondo è manipolabile. Ci permetta una digressione che esula dal libro e ci porta all’attualità; che cosa pensa del Covid-19, studiato a tavolino, scappato da un laboratorio o teoria naturale?
Non ne ho idea, né mi sono posto la domanda. Il Covid, come altri milioni di virus, è stato utilizzato per mettere l’essere umano sempre più sotto controllo. Un controllo sociale e bio-politico che gli Stati non avevano. Purtroppo in Italia, molti accettano tutto ciò passivamente. Sono come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia per non vedere cosa succede intorno a loro, senza darsi conto che resta fuori il sedere…
I soldi non fanno la felicità. Che ne pensa di questa inflazionata affermazione?
Certo che fanno la felicità. La costruiscono, la mantengono… Dire il contrario non ha senso. È con i soldi puoi migliorare la tua salute, permetterti i migliori medici, le medicine più costose e i migliori trattamenti. Senza, puoi morire. Almeno negli Stati Uniti. Qui se non hai un’assicurazione medica privata e rimani ferito in un incidente stradale, l’ambulanza nemmeno ti carica. In Europa, nonostante quello che dicono, non è diverso. Con la mutua attendi mesi per una Tac o una Risonanza. Se puoi pagare, in 12 ore la fai. E così via. L’amore non si compra? Forse, ma anche il partner più innamorato comincia a vacillare nei suoi sentimenti se in casa non c’è di che vivere. I soldi hanno sempre fatto, fanno e faranno la felicità delle persone. Senza soldi nessuno ti aiuta, non sei nessuno. Con i soldi, ovunque vai, hai tutti ai tuoi piedi. Quindi i soldi ti aiutano a vivere meglio, e ovviamente, ti danno la felicità.
Lord Kelly di Corrado Fabbri, Booksprint Edizioni
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