- Rassegna Stampa
6 Dicembre 1998, ore 17:40. Quando l’ultimo borsone fu pieno, Flora si guardò intorno, come per essere sicura di non dimenticare nulla. Chiuse la valvola del gas e dell’acqua, usò una sedia per bloccare l’anta aperta del frigorifero ormai vuoto, abbassò la leva del contatore della luce e si diresse verso l’ascensore. Lo guardò con lo stesso stato d’animo con cui si osserva un viaggio per l’ultima volta. Era un anonimo e insignificante ascensore anni settanta, rivestito da una tremenda formica rosso fragola e uno specchio rettangolare dagli angoli ormai anneriti. Osservò la sua immagine riflessa, come a voler fissare nella memoria il suo volto in quel preciso istante. Erano solo le 17,40 ma il cielo non era diverso da quello delle 22,00. Fuori era già buio e faceva molto freddo ed è per questo che in borsa aveva m esso un thermos di caffelatte. A dire il vero, più caffè che latte. Giorgio era contrario ai suoi spostamenti serali, soprattutto d’inverno.
«Flora, ti prego, perché non domani mattina in treno? Verrei a prenderti in stazione e avresti la possibilità di riposarti o comunque goderti il panorama senza rischi! Oggi pomeriggio ha piovuto e di sera, quando scendono le temperature, ci sono tratti in cui la strada può essere ghiacciata».
«Giorgio, non devi preoccuparti. L’ho sempre fatto, e poi lo sai che viaggiare in macchina di notte mi fa star bene perché riesco ad ascoltarmi».
«A volte parli come una svitata, sei più testarda di un mulo e anche egoista. Non ti preoccupi delle ore di ansia che mi regali, del cuore che “salta” ad ogni squillo del telefono. Ma credo sia inutile insistere, ormai hai deciso. Almeno chiama ogni tanto e, se puoi, non fermarti in nessuna stazione di servizio».
«Tranquillo Giorgio, non esagerare, si tratta solo di tre ore».
Stava arrivando il momento della sua “droga” e lei provava una vera dipendenza per la solitaria guida notturna che le faceva sentire l’adrenalina scorrere al massimo e il suo cuore battere accelerato, come quello di chi sta per sostenere un esame difficile, un colloquio decisivo. Flora caricò il bagagliaio e partì. Sapeva di avere solo il tempo di quel viaggio per pensare, riflettere, decidere, cadere, darsi forza per rialzarsi e perdonarsi. A cosa avrebbe pensato di determinante per il suo futuro, in quel tragitto? Forse nulla, ma quelle buie strade divise a metà da infinite strisce bianche intermittenti, così simili a una cucitura, la ipnotizzavano e riuscivano a farle “sentire” meglio i suoi pensieri. Alcune delle decisioni più importanti della vita le aveva prese in macchina.
In particolare, ricordò che in macchina aveva stabilito di assumere l’incarico d’insegnante per due anni a Locorotondo, tanto, non avrebbe sofferto la solitudine. Anche il suo amico Marcello aveva accettato da poco il trasferimento in Puglia. In macchina aveva deciso di sposare Giorgio, forse più per profondo affetto, ammirazione e gratitudine che per passione, e sempre in macchina aveva deciso che la sua vita sarebbe stata migliore se avesse messo da parte l’orgoglio, i sogni e le ambizioni per mantenere fede alla promessa, l’unica, fatta a suo padre in punto di morte, di non intraprendere ufficialmente l’attività di psicologa criminale, per la quale tanto aveva studiato e si era sacrificata. Lui temeva che tutta quella violenza e tutto quel male l’avrebbero resa arida, malinconica e insensibile davanti alle piccole cose belle della vita.
Questi momenti li ricordava davvero tutti, uno per uno, e avrebbe potuto segnare sulla cartina esattamente dove si trovava mentre quelle decisioni venivano prese.
Alberobello era bellissima anche d’inverno e le luci natalizie rendevano il paesaggio fiabesco, degno di una sfera di cristallo con la neve che scende piano, dopo averla agitata. Flora guidò adagio, come per godersi quel momento di solitario benessere e all’ultimo semaforo rosso, alle porte del paese, guardò dallo specchietto retrovisore. Tutte quelle luminarie la fecero sentire terribilmente libera e malinconica. Tre mesi di aspettativa non erano molti e sarebbe rientrata in tempo per godersi l’esplosione primaverile della valle in fiore.
Prima di raggiungere Bari, si fermò in una piazzola di sosta in prossimità dello svincolo per Polignano a mare. Tirò fuori dalla borsa il thermos che ancora scottava e usò il tappo come bicchiere, che riempì di caffelatte. Quella bevanda aveva su di lei l’effetto di un caldo abbraccio. Ingranò la marcia, non prima di aver lanciato uno sguardo sul sedile accanto, dove la cartellina di cartoncino rosso chiusa da un elastico contenente “I racconti del brivido” dei suoi bambini, le regalò un sorriso. Aveva deciso di correggerli in quel fine settimana per rispedirli prima di Natale. Era orgogliosa dell’entusiasmo di quei piccoli mocciosi e del sogno nato in alcuni di loro, di diventare da adulti grandi scrittori. Considerava quel progetto scolastico semplicemente meraviglioso perché i racconti sarebbero stati dattiloscritti e la scuola avrebbe finanziato la stampa di un libro.
Ore 19:15. Flora spense il mangiacassette, percepiva la musica quasi fastidiosa e mentre guidava il mondo le scorreva davanti e di fianco per dissolversi dietro di lei. Per fortuna, seppur fredda la serata era nitida e all’improvviso le pale eoliche illuminate dai fari, le apparvero come bianchi e giganteschi fantasmi, guardiani di quei campi disabitati. Lo squillo del cellulare ebbe l’effetto di un urlo in piena notte e la fece sobbalzare.
«Ciao amore, come procede? Manca molto al tuo arrivo?»
«Giorgio! Sì, va tutto bene, fra poco più di un’ora dovrei essere a casa. Dai, tranquillo, non sono Cappuccetto Rosso che va dalla nonna, in autostrada non ci sono lupi cattivi!»
«Ma ti prego, non essere scontrosa. Piuttosto, al tuo arrivo sarai certamente stanca e affamata, sono già ai fornelli per prepararti una magnifica cena. Ti sbalordirò.»
26 ottobre 1998. La seconda ondata di maltempo prevista dal meteo era arrivata, e con tutto il suo cupo grigiore aveva investito quel fine settimana. Adele Landi, nel piccolo e delizioso trullo immerso nella campagna di Cisternino, frazione Marinelli, al confine con il comune di Locorotondo, non ne fu turbata. Quel tempo l’affascinava da sempre. Un lampo fuori la finestra squarciò il cielo e le campagne circostanti, s’illuminarono per qualche istante.
La donna era seduta davanti al camino che aveva acceso un’ora prima, immersa nella lettura del secondo volume di Storia del teatro drammatico di S. D’amico del 1958. Sulle spalle aveva un avvolgente plaid e le faceva compagnia un buon bicchiere di Salice Salentino.
Leggeva quel libro perché desiderava finirlo quanto prima per passare al volume successivo, ma soprattutto per ingannare il tempo: quel tempo necessario che le aveva chiesto il marito per fare la spesa nel supermercato più fornito di Locorotondo.
Erano passate più di due ore. Il vino e il caldo del camino l’avevano fatta sprofondare in un piacevole torpore e il tempo era passato senza che lei se ne fosse accorta. Era la prima volta che trascorrevano un weekend da sposati e lontani da casa. Adele aprì piano gli occhi, e un po’ indolenzita si tirò su quanto bastò per tornare seduta e accorgersi di avere il viso che scottava. Considerò che forse era stata troppo vicina al camino acceso. Scrutò il cellulare e vide l’ora. Guardò anche il numero delle tacche.
«Accidenti, ancora assenza di segnale. Ma non è possibile! Ormai i cellulari prendono anche nelle catacombe!» borbottò tra sé a denti stretti.
Respirò profondamente e provò un certo fastidio ma non era il caso di alzare una disputa quando Mauro sarebbe tornato dal momento che, con molta probabilità, aveva incontrato qualcuno di sua conoscenza. Doveva essere andata così, sicuramente. I genitori di suo marito erano originari di quella zona, ma lui era nato e cresciuto al nord. I parenti non c’erano più: i cugini non li sentiva da molto prima che sua nonna morisse undici anni prima, e gli zii erano ormai deceduti da tanto. Nonna Lina era voluta rientrare in Puglia, la sua terra, dopo la morte del marito, e comunque fu l’ultima della famiglia a passare a miglior vita. Però Mauro conosceva ancora molta gente e sicuramente si era fermato in un bar a bere una birra con gli amici che non vedeva da molti anni, appunto.
Non era strano, lo aveva fatto altre volte, quando da fidanzati amavano fuggire da Mantova e rifugiarsi nelle campagne della Valle D’Itria. Così Adele s’immerse nuovamente nella lettura del volume e proseguì con l’attesa.
A poco più di trecento metri, accostato al muretto a secco che delimitava la proprietà del trullo, sotto una pioggia sempre più insistente, un uomo era seduto all’interno di un’auto. Non si notava molto, avendo scelto con cura di accostare il mezzo in una zona poco illuminata. Era lì da molto tempo, lo si capiva perché a terra, sotto la portiera del conducente, c’erano molte cicche di sigarette.
Il finestrino aperto appena due dita confermava che era lui a fumarle; anche in quel frangente stava aspirando l’ennesima sigaretta. Era in attesa che arrivasse qualcuno o accadesse qualcosa. Non era agitato, aveva lo sguardo freddo e calmo che ogni tanto rivolgeva a osservare la strada provinciale, proprio lì, a duecento metri da lui.
Le poche auto passate nelle vicinanze non avevano fatto caso a quella lucida Audi80 grigia accostata al muretto e riparata da due alberi. Non avrebbero fatto caso nemmeno a quell’uomo di statura e corporatura media, con la barba incolta e dagli occhi scuri, freddi e inquietanti.
Si toccò il mento dopo aver buttato l’ennesima cicca dal finestrino. Rimase seduto, immobile a fissare con lo sguardo il trullo che aveva davanti a sé.
Le sensazioni di Adele Landi si erano rivelate esatte, poiché conosceva bene il marito. Un bip proveniente dal cellulare l’aveva fatta sobbalzare. Per un attimo il segnale era tornato e le aveva permesso di ricevere il messaggio di Mauro: “Ritardo un po’, saluto alcuni amici e torno”. Adele avrebbe voluto rispondere, chiedere dov’era e con chi, ma il segnale era nuovamente tornato a zero. Da quando si erano sposati s’incontravano solo a ora di cena. Per mesi, gli impegni di lavoro fuori sede di lui e gli orari di recitazione a teatro di lei erano stati incompatibili ed era per questo che avevano deciso di prendersi una pausa, di ricaricare le batterie in quell’angolo di mondo così bello e così familiare.
Quindi Adele non si era sbagliata: suo marito aveva incontrato qualcuno e si era trattenuto nei saluti. Quello che non avrebbe mai immaginato era con chi.
Giovanna Conserva era stata la fidanzata di Mauro. L’allora fresca ragazza era diventata una quarantenne ancora più attraente: folta chioma dall’intenso color castano e riflessi dorati, procace, volubile e cocciuta. Quando si metteva in testa una cosa, doveva averla vinta a tutti i costi. Casualità volle che, all’uscita dal supermercato, la donna si scontrasse nel parcheggio proprio con l’ex fidanzato.
Non fece in tempo a scusarsi, che esclamò con sorpresa: «Tu??»
Lui sorrise e disse annuendo: «Io…»
«Mauro, che bella sorpresa, ma da quando sei qui?»
Dopo lo stupore iniziale, i due decisero di prendere un caffè in un bar delle vicinanze. Lui le mise una mano sulla spalla per avvicinarla a sé e proteggerla con il suo ombrello da quell’acquazzone che sembrava uno tsunami sceso dal cielo. Le aprì lo sportello e la fece accomodare in macchina. Cominciò a guidare piano per cercare un bar aperto; il paese era piccolo e, dopo solo cinque minuti, erano già in periferia. Giovanna parlava e Mauro, silenzioso, guidava allontanandosi sempre più dal centro urbano. A dire il vero, quel caffè non lo presero mai. Bastò guardarsi, tenersi per mano, che la passione li travolse come se il tempo non fosse mai passato.
Quei novanta minuti non furono sufficienti a placare l’esuberanza che Giovanna aveva mostrato in tutto il suo splendore e Mauro non aveva avuto modo di poterle resistere. Lei amava “stuzzicarlo” e bastò una frase semplice come: «Ti ricordi quando eravamo fidanzati come ci si divertiva?», per fargli tornare alla mente i loro momenti più intensi.
E come avrebbe potuto resisterle? Giovanna era bella, solare, dalle forme generose e con una scollatura da brividi. La loro storia, seppur nata come un amore estivo, era diventata una relazione seria e per il primo anno fu gestita soprattutto a distanza. A lei Mauro era sempre piaciuto. A lui, però, non era andato a genio il fatto che la donna si fosse concessa delle scappatelle: “Posso prendermi degli spuntini ogni tanto tesoro, ma a pranzo e a cena torno sempre da te”, gli disse una volta, senza ombra di vergogna. Mauro non aveva digerito quella similitudine e così aveva deciso di troncare. Andò via dalla Puglia, la terra di origine della sua famiglia, dove ogni anno trascorreva l’intera estate da giugno a settembre, per non tornarci più.
Rimaneva da capire, quindi, come mai lui avesse ceduto alle lusinghe della provocante Giovanna che non vedeva da anni. Rifletté e si convinse che il proprio cervello era andato in tilt, aveva subito qualcosa di paragonabile a un corto circuito che gli aveva impedito di ragionare. Si guardò intorno e comprese con maggiore lucidità cos’era accaduto. Giovanna era distesa sul sedile accanto a lui quasi nuda e lo guardava con desiderio. Mauro con un gesto molto delicato iniziò a sfiorare la sua pelle, a seguire le curve di quel corpo sinuoso.
«Non mi dici nulla?» chiese lei con malizia e rompendo un silenzio che invece diceva tanto.
Lui era in procinto di pronunciare qualcosa ma non ne ebbe il tempo: Giovanna si voltò e lui rimase ancora più muto di prima.
«Tesoro, dopo tutti questi anni ti ritrovo più cupo, parli poco… Ma in compenso sei più attraente. Ma che hai?»
«Mi sono sposato.»
«Oh, anche io…» e sorrise. «E siamo qui, che ci vuoi fare? La carne è debole!» e gli strizzò un occhio.
Giovanna si sollevò, mostrando quei seni prosperosi che Mauro aveva visto molte volte e che guardava ancora con desiderio.
«Su questo punto, sei cambiato poco, ti piacevano allora e adesso… pure.»
«Sì…» disse flebilmente lui, stringendola a sé.
Giovanna chiuse gli occhi e iniziò a sospirare: «Sei felice?»
«Che…?»
«Ti ho chiesto se sei felice.»
«Ora… sì.»
«Dimmi… – e gli prese il volto tra le mani, – tu vorresti riprovarci? Magari ora che siamo cresciuti… e poi, chi lo saprebbe? Tesoro, lo sento che hai ancora tante energie… non sprecarle per pensare. Vuoi rimanere a guardarmi ancora per molto? Dai… Vieni qui, stringimi…» gli sussurrò nell’orecchio.
Quella frase fece svegliare l’uomo dallo stordimento. Rifecero ancora l’amore in quella macchina, che a tratti, veniva colpita con violenza dalla pioggia.
Adele era nervosissima. Suo marito era uscito alle diciotto e trenta e ormai erano le ventuno passate. Aveva smesso di leggere e si era dedicata al camino, alimentandolo più volte con i ciocchi. Per di più aveva bevuto molto e la bottiglia di vino era ormai a metà: la stanchezza iniziava a farsi sentire e di Mauro non c’era alcuna notizia. Aveva messo in conto che lui avesse potuto tardare, ma il suo comportamento si era rivelato molto strano. “Vuoi vedere che si è ubriacato e non è in grado di tornare?” si chiese Adele. “Se hai il coraggio di tornare ancora lucido, vedi che ti combino!”
Scosse la testa e andò nervosamente alla finestra, tentando di scorgere nel buio qualcosa che somigliasse alla Mercedes di suo marito. Niente, non si vedeva alcunché. Fuori pioveva ed era l’unica cosa di cui si era certi in quel momento. Tornò alla poltrona. Tutto quel vino l’aveva un po’ frastornata e ancora una volta il camino acceso ebbe l’effetto di un narcotico.
Adele senza rendersene conto si addormentò per almeno altri trequarti d’ora. Si destò perché un rumore proveniente dall’esterno l’aveva svegliata. “Mauro è tornato!” e subito andò alla porta che aprì con foga e con la volontà di dirgliene quattro. Mauro, immobile e fradicio, non era solo: con lui due persone, un uomo e una donna.
Una serie di brutali omicidi squassa il capoluogo aquilano. Sulle orme del responsabile indagano gli inquirenti, grazie anche all’intuito di una donna che riesce a riannodare i fili con il passato criminale del killer. Una corsa all’ultimo respiro all’inseguimento del colpevole, in una suggestiva narrazione dove nulla è scontato: Cagliostro è tornato.
Annamaria Venere nasce a Gioia del Colle il 21 ottobre del ’66 e trascorre l’infanzia nel suo paese natale. Da piccola sogna di fare la cantante lirica ma, non trovando condivisione in famiglia, si appassiona alla lettura e alla pittura che abbandonerà definitivamente a tredici anni. Con l’inizio dell’adolescenza comincia a provare il disagio dell’irrequietudine e, consigliata dalla sua giovane professoressa di italiano, comincia a scrivere storie che narrano i suoi pensieri. Annamaria, con spirito talvolta ironico e dissacrante, talvolta profondo e doloroso o ancora, caratterizzato da malinconico ottimismo, nel corso di quattro anni scriverà undici racconti brevi. A diciassette anni, affascinata da un volume di sociologia, inizia ad approfondire lo studio attraverso altre opere, studi che condurrà in maniera autonoma e disorganizzata per molti anni. Si trasferisce a Bari, si laurea in Scienze delle professioni sanitarie e inizia la sua attività professionale nella splendida cornice della Valle D’Itria, luogo del quale s’innamorerà profondamente. Viaggiare per quasi 200 km al giorno (lo farà per dieci anni), rappresenterà l’opportunità per raccogliere appunti dettati al suo piccolo registratore, dal quale diventerà inseparabile. Donna dallo spirito indipendente, sarcastica, amante delle metafore, cultrice del disincanto, acuta osservatrice della specie umana, spia e coglie sguardi che altri non afferrano e ne lascia traccia scritta: per lei è un modo di tenere insieme ciò che era destinato ad essere dimenticato. In quegli anni scopre la sua naturale propensione all’ascolto degli altri e la comprensione dei vissuti delle persone e decide di iscriversi nuovamente all’Università, alla facoltà di Sociologia. Consegue presso l’Università Alma Mater Studiorum, Polo di Forlì ‘R. Ruffilli’ la laurea magistrale in “Sociologia, Politiche Sociali e Sanitarie” e successivamente perfeziona la formazione in “Criminologia Forense” presso l’Università di Messina. In parallelo a questi progetti e agli studi è coautore di ‘Elementi di comunicazione per le professioni sanitarie. Strategie operative per le aree infermieristica, preventiva, riabilitativa e tecnica’ (Franco Angeli, Milano 2008), ‘Il falso in Sanità. Problematiche giuridiche e aspetti sociologici’ (Franco Angeli, Milano 2013), ‘L’infermiere di famiglia e cure primarie: aspetti gestionali e competenze cliniche” (Piccin Nuova Libraria, Padova 2017). Nel frattempo, la sua vita privata e professionale “attraversano” lo stretto e si realizzano in Sicilia dove tutt’ora vive. Si sposa e ha due figli, Carla e Flavio. Nel 2009, fonda a Catania una società di organizzazione di eventi medico scientifici e formazione sanitaria e diventa Provider ECM.
Successivamente, la stessa società diviene editore di Medicalive Magazine, rivista online d’informazione del settore sanitario e viene nominata Direttore Editoriale. Pubblica svariati articoli e nel 2020 il suo ultimo lavoro scritto in collaborazione con due ufficiali dell’Arma dei Carabinieri ‘Vittime di violenza di genere. La gestione giuridica dell’operatore sanitario’ (Franco Angeli, Milano 2020). Con il tempo, si riconosce sempre più nel mondo della scrittura e la sua natura creativa si mostra durante il periodo del lockdown da Covid-19 del 2020, quando decide di sperimentare un genere per lei nuovo, con ‘All’ombra del tacco’.
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